Quando le mafie facevano i sequestri di persona

di Laura Fischetti e Chiara Fischetti

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Laura Fischetti e Chiara Fischetti - Link Campus University, relatrice professoressa Daniela Mainenti

Il fenomeno del sequestro di persona, diffuso dalla Sardegna alla Calabria, per poi espandersi su tutto il territorio nazionale, ha sempre avuto molteplici finalità.
I sequestri siciliani di Cosa Nostra erano caratterizzati dalla volontà di trattenere le vittime il minor tempo possibile e, in genere, venivano effettuati prevalentemente per distrarre l’attenzione delle forze di polizia da altri traffici più remunerativi. I sequestri, talvolta, avevano risvolti drammatici, ad esempio nel caso di faide tra famiglie rivali. In altri casi, il fine era meramente intimidatorio o di vendetta.
A riguardo, è emblematico il rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso nel 1996 da Cosa Nostra, con l’obiettivo di vendicarsi del padre Santino Di Matteo, loro affiliato. Santino fu arrestato il 4 giugno 1993 e poco dopo decise di collaborare con la giustizia. Iniziò così a fare i nomi di chi si nascondeva dietro le stragi mafiose di Capaci e Via D'Amelio. Le sue dichiarazioni scatenarono la reazione di Cosa Nostra che decise di rapirne il figlio, per costringerlo a ritirare le accuse.
Fu un rapimento particolarmente doloroso: Giuseppe era soltanto un adolescente, fu strangolato e sciolto nell'acido senza pietà dai suoi carnefici dopo mesi di prigionia e di stenti. Erano gli anni in cui Cosa Nostra aveva raggiunto l’apice della sua efferatezza, il cui codice d’onore  prevedeva, prima di allora, almeno nell’immaginario e in teoria, l’inviolabilità dei più piccoli.
In questo quadro sono da segnalarsi due sequestri anomali: il più lungo sequestro avvenuto in Sicilia ad opera della malavita organizzata, della durata di ben ventidue mesi, quello del gioielliere palermitano Claudio Fiorentino, liberato a seguito del pagamento di un riscatto. Fiorentino, una volta libero, dichiarò all’autorità giudiziaria di essere stato segregato in un cunicolo sotterraneo alto circa un metro e cinquanta centimetri, con una catena alle caviglie che gli impediva di stare in piedi. Questa testimonianza destò non pochi sospetti ai magistrati, i quali ritennero che le condizioni di salute e i segni sul corpo dell’uomo fossero molto meno gravi rispetto a quanto prospettato dalle perizie e dal confronto con gli esperimenti di sopravvivenza. Poco tempo prima, inoltre, il vicequestore Ninni Cassarà aveva scoperto il trasferimento all’estero di ingenti capitali da parte dei fratelli  Fiorentino.
Da lì l’accusa di riciclaggio per gli stessi gioiellieri. I Fiorentino dopo un breve periodo trascorso in carcere, ottennero la libertà provvisoria. Alcuni mesi dopo, la mattina del 10 ottobre del 1985, Claudio Fiorentino venne sequestrato: fu rapimento per estorsione o avvertimento? O una clamorosa simulazione?
Come certamente di simulazione si trattò nel caso del finto sequestro del bancarottiere Sindona studiato allo scopo di far avviare avvisi intimidatori da parte dei boss legati a Stefano Bontade che avevano investito nelle banche del finanziere allo scopo di salvarle.
Il collaboratore di giustizia palermitano Tommaso Buscetta, con le sue rivelazioni chiarì che, ad un certo punto, la “Cupola” di Cosa Nostra proibisce ai suoi affiliati di effettuare sequestri in Sicilia. La diminuzione del consenso, o meglio dell’atavica rassegnazione alla convivenza col fenomeno criminale  dei siciliani, avrebbe portato ad un inevitabile clamore attorno ai sequestrati, con la conseguenza di una maggiore attenzione delle forze dell’ordine. I mafiosi siciliani, quindi,  non continuarono su questo filone criminale e ben presto lo abbandonarono. Accumulato un certo capitale, lo investirono nell’acquisto di droga. Si resero conto che il traffico di droga era più redditizio e il rischio di essere scoperti dalla polizia era nettamente inferiore. Inoltre, un sequestro era di gran lunga più impegnativo, pericoloso e poteva avere un epilogo drammatico.
Tuttavia, agli inizi degli anni ’90, la Procura della Repubblica di Palermo ebbe l’intuizione che Cosa Nostra stesse riprendendo i sequestri di persona poiché nelle indagini condotte  contro il mafioso Nunzio Raccuglia, si scoprì  che quest’ultimo aveva realizzato, su ordine di Totò Riina, un bunker sotterraneo nella sua masseria destinato a divenire la cella di  facoltosi personaggi da sequestrare a fini estorsivi.
Si tratta sempre di sequestri quelli passati alla storia con il termine giornalistico “lupara bianca”. Un fenomeno d’impronta tipicamente mafiosa con il quale si vuole indicare  l’omicidio  seguito dall’occultamento del cadavere della vittima. Le modalità di occultamento sono molteplici: oltre a sciogliere le vittime nell’acido (pratica principalmente usata dai clan dei Corleonesi) , i sequestratori seppelliscono i corpi nelle campagne, in luoghi dove sia difficile il ritrovamento, oppure in pilastri di edifici in costruzione oppure  gettandoli, opportunamente zavorrati,  sul fondo di paludi o acquitrini. Lo scopo della lupara bianca era ed è tuttora quello di dimostrare la superiorità di un clan rispetto ad altre cosche mafiose, o di vendicarsi nei confronti delle stesse.
Date le modalità con cui venivano effettuati i rapimenti in Italia, in forme assai brutali, alla fine degli anni Sessanta venne istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fenomeni del banditismo e furono adottati interventi legislativi ad hoc.
Grazie all’inasprimento delle pene inflitte per il sequestro di persona a scopo di estorsione, è stata meglio definita la disciplina dall’articolo 630 c.p. In origine, essa prevedeva la reclusione dagli 8 ai 15 anni. Visto l’aumento del numero dei sequestri di persona a partire dagli anni Settanta, l’articolo, cominciò a subire delle modifiche. Con la legge 497/1974 la pena venne aumentata da un minimo di 10, fino ad un massimo di 20 anni. Inoltre fu previsto uno sconto della pena (da 6 mesi a 8 anni) per i sequestratori che avessero liberato l’ostaggio senza aver ricevuto il riscatto. Un altro passo fondamentale, dal punto di vista della legislazione, fu l’introduzione della legge n. 82/1991 che stabilì il blocco dei beni dei parenti dell’ostaggio con lo scopo di impedire il pagamento del riscatto e scoraggiare, così, futuri accadimenti delittuosi. La medesima legge introdusse anche la possibilità di creare «appositi nuclei interforze» per evitare che l’indagine si disperdesse in più filoni e  avere un maggiore coordinamento delle attività di ricerca e indagine. Indipendentemente dal fatto che vi fosse in corso oppure no un sequestro, vennero attivati strumenti investigativi stabili.
Le analisi condotte dalla Direzione Nazionale Antimafia hanno confermato la progressiva scomparsa del reato di sequestro di persona così come tradizionalmente inteso. Si può senz’altro affermare in merito che questo genere di reato non rientra più tra gli interessi delle associazioni mafiose, con l’ eccezione di casi sporadici attribuiti verosimilmente a gruppi marginali non riconducibili a quelle organizzazioni.

3 commenti

  • Siete sicuri che la massima pena per sequestro è di 20 anni?
    Mi pare che Giovanni Farina (3 sequestri all'attivo) sia stato condannato per quello di Soffiantini ad oltre 27 anni. E per gli altri 2 ad altri 27 anni. In breve ha fatto più prigione Farina, senza aver mai ucciso nessuno, che Francesca Mambro dei NAR autrice di 11 omicidi oltre che di 85 morti per la strage della stazione di Bologna, condannata a 6 ergastoli.
    Giustizia, mah.

  • Signor Sebastiano,le ricordo che la Mambro e il suo consorte sono fuori...da un pezzo.

  • La massima pena per i sequestri di persona a scopo estorsivo arriva sino ai 30 anni di carcere duro, può essere inferiore se inoltrata a dei pubblici ufficili che per abuso di potere, e può ovviamente arrivare all'ergastolo in caso di decesso.
    Aggiungo che il sequestro a scopo di estorsione sia, insieme alla pedofilia il reato più vile e vigliacco che possa essere preso in considerazione dal ns. ordinamento. Il sequestro del piccolo Di Matteo è stato sconvolgente, ma in questo caso le colpe del padre sono ricadute sul figlio...purtroppo quando accedi a Cosa Nostra od altre organizzazioni mafiose, non hai molti modi di uscirne...senza qualche ossa rotta, se non peggio e spesso le conseguenze le pagano i famigliari.
    La notizia su Riina, secondo cui, avesse apprestato un bunker nella masseria per il sequestro di terze persone a scopo estorsivo mi lascia perplesso...il sequestro è un gioco criminale pericoloso, ad altissimo rischio, Cosa Nostra non aveva necessità di capitali come i calabresi per accedere al mercato degli stupefacenti...la Sicilia è ricchissima, a statuto speciale e piena di risorse da cui attingere, senza dimenticare i pericoli annessi di costruire un bunker nella propria proprietà...per il numero uno di cosa nostra, era cosa molto avventata strategicamente, errore che un cervello fino come Riina difficilmente avrebbe commesso.
    Probabilmente era un mezzo per irretire i vari collaboratori di giustizia, ma non credo appartenga ai siciliani impedire al prossimo di vivere la propria vita, in cambio di denaro...certo, potrei sbagliarmi...
    Purtroppo non sono miliardario, quindi non dovrei correre il rischio...ma sicuramente il dettame sarebbe non pagare MAI nessun riscatto ed informare immediatamente le forze dell'ordine del sequestro in corso...e poi, certo che quest'ultime potrebbero facilmente scovare i sequestratori, al confronto ovviamente non mi tirerei indietro e li vorrei vedere in galera, per poi fare in modo che qualcuno in carcere si prendesse cura di loro e della loro famiglia...si intende.
    Così che almeno i vari padri..., fratelli, zii, cugini...possano assaporare cosa significa quando il sequestratore gli chiede di farsi castrare e poi divorare i propri testicoli se non vogliono vedersi recapitare pezzettino, per pezzettino del sequestrato...ed in questo caso, certamente nessuno contatterebbe le forze dell'ordine...perchè uomini d'onore...
    Come si dice...uomini avvisati, mezzi salvati....