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Azienda chiusa per mafia in provincia di Padova

Da Megliadino San Vitale l’ex luogotenente del boss Balduccio Di Maggio si rapporta con “soggetti dall’acclarato profilo criminale”

di Gianni Belloni
2 minuti di lettura

MEGLIADINO SAN VITALE. Ci aveva provato. Dopo l’interdittiva della Prefettura di Verona che aveva colpito, a fine settembre, la Commercial company di Legnago, formalmente intestata al nipote Michele Greco, Giuseppe La Rosa aveva messo a capo della R. M. Trasporti srl – sede legale a Megliadino San Vitale in via Bovoline 1 bis – Alessandro Zanin, un illustre sconosciuto, almeno alle forze dell’ordine, ma non è bastato. Ieri però La rosa è stato colpito da una interdittiva antimafia, la prima in assoluto promossa dalla Prefettura di Padova. Un risultato importante del gruppo interforze ricostituito presso la Prefettura dopo un lungo periodo di inattività.

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La lunga carriera criminale di La Rosa non lo fa passare inosservato. E gli investigatori hanno consistenti prove per dimostrare che a capo della R. M. Trasporti srl ci fosse effettivamente lui, il cinquantatreenne di Palermo Giuseppe La Rosa. Residente a Megliadino San Vitale, nella Bassa padovana, è stato luogotenente, e autista, fidato del boss di Cosa Nostra Balduccio Di Maggio, successore e antagonista di Giovanni Brusca, capo del mandamento di San Giuseppe Jato. A fianco di Balduccio Di Maggio partecipò alla guerra di mafia contro la fazione di Giovanni Brusca. E in quella guerra perse il suocero e il cognato. Insomma un uomo d’onore di un certo spessore.

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Condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso e per tentato omicidio, il suo ruolo come collaboratore di giustizia non ha significato un cambio di rotta nel suo stile di vita. Appartenenti alle forze dell’ordine che hanno avuto a che fare con lui in questi anni riportano l’impressione del tipico mafioso: arrogante e sprezzante. E forse è stata proprio la sua arroganza a metterlo nei guai, non curandosi di comunicare ogni anno, negli ultimi dieci anni, la variazioni del suo reddito e del suo giro d’affari, obbligo che aveva contratto con il suo status di collaboratore di giustizia. Le sue mancate comunicazioni hanno messo una pulce nell’orecchio degli investigatori della Guardia di Finanza che hanno cominciato ad indagare sui suoi affari. Proprio per questa sua mancanza peraltro, il 16 ottobre di quest’anno ha visto confermata la condanna da parte della Corte d’appello di Venezia.

Residente a Padova fino al 2013, La Rosa vanta una preoccupante rete di relazioni: è infatti accusato di aver partecipato ad una truffa in compagnia di Fortunato Multari, fratello del più noto Domenico, residente nella Bassa veronese e famiglia gravitante nell’orbita ’ndranghetista e da Francesco Frontera, detenuto a Bologna, condannato a 8 anni e 10 mesi nel processo Aemilia e indagato nella recente operazione antimafia “Valpolicella”. E poi Federico Turrini, Giuseppe Zambrella e Patrick Halabica: tutti con alle spalle l’appartenenza comune all’organizzazione Aspide, la finanziaria con sede a Padova promossa da un gruppo di campani, specializzata nell’usura e nelle bancarotte fraudolente. L’accusa è quella di aver preso in consegna merce che sarebbe dovuta arrivare ai legittimi destinatari all’estero ed averla invece rivenduta. Ma nel suo portafoglio di relazioni ci sarebbero, secondo i risultati delle indagini della Prefettura, “soggetti dall’acclarato profilo criminale” come i ’ndranghetisti Santo Maviglia o mafiosi come Ignazio Mustacchia oltre a Claudio Veronese di Saletto, implicato in un commercio clandestino di auto di lusso. La preoccupazione degli inquirenti è che La Rosa, dalla sua residenza di Megliadino San Vitale sia in realtà in grado di connettere ed attivare collaborazioni tra gruppi diversificati in tutto il Nordest.


 

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