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La madre: «Meriem controllata dall’Isis»

Il processo per terrorismo internazionale a Venezia. Sulle conversazioni via Skype: «Con il velo nero faceva paura ai fratelli»

di Rubina Bon
2 minuti di lettura
VENEZIA. «Mia figlia Meriem è tenuta sotto controllo dall’Isis». Mamma Khadija lo ha raccontato ieri in tribunale a Venezia, nel corso dell’udienza del processo per arruolamento con finalità di terrorismo internazionale che vede sul banco degli imputati sua figlia Meriem, 21enne marocchina di Arzergrande (Padova). La donna era stata citata dalla pm antiterrorismo Francesca Crupi come testimone nel procedimento contro la prima foreign fighter veneta arruolata nelle fila dell’esercito dello Stato Islamico. Un’udienza a porte chiuse, com’era già successo il mese scorso, su richiesta della pm: «Motivi di sicurezza, visto il momento storico attuale».

Le parole della mamma. In tribunale, mamma Khadija è arrivata assieme al marito Redouane, già sentito nella scorsa udienza. Ha risposto per oltre mezz’ora alle domande della pm, del difensore Andrea Niero e della giudice Claudia Ardita. A ogni domanda, pensando a Meriem, la ferita si è riaperta: Khadija ha pianto molto ricordando le conversazioni (audio e video) via Skype con la figlia. Colloqui che a partire dal luglio 2015, quando Meriem vola a Istanbul e quindi in Siria, si erano fatti via via meno frequenti. Fino all’ultimo contatto, il 15 novembre 2016, con il padre, dicendogli che voleva tornare a casa. «L’impressione è che Meriem fosse controllata», ha detto Khadija ricordando l’atteggiamento della figlia durante i colloqui su Skype. La 21enne si guardava attorno, dando l’impressione di fare qualcosa di nascosto. Davanti alla telecamera, ha ricordato la madre, Meriem si presentava indossando il nijab, il velo nero che copre tutto il corpo, lasciando scoperti solo gli occhi. «Le chiedevo di sollevarlo, altrimenti faceva paura ai suoi fratelli», ha proseguito Khadija. Durante le conversazioni, Meriem raccontava alla madre le sue giornate: «Studio sempre il Corano», l’insegnante era una donna a capo del gruppetto tutto femminile di cui la 21enne farebbe parte. La ragazza si sarebbe mossa tra Raqqa e Gaziantep, in Turchia al confine con la Siria.

Il pakistano e la turca. In aula ieri come testimone c’era anche il pakistano che ha accompagnato Meriem all’aeroporto di Bologna, da dove era decollata per Istanbul. «L’avevo conosciuta in chat ma appena l’ho vista mi sono accorto che era solo una ragazzina. Mi ha detto che lavorava per una compagnia aerea e voleva andare in Turchia dalla sorella», ha riferito, ricordando poi la richiesta della ragazza di essere accompagnata in un negozio in aeroporto per comperare occhiali da sole e cuffiette che sarebbero stati il “segnale” previsto dal manuale jihadista per apparire una turista occidentale. Citata come testimone anche la ragazza turca che avrebbe prestato a Meriem il cellulare a Istanbul: la consegna bagagli era in ritardo e Meriem, secondo l’accusa, temeva che il suo contatto si spazientisse. Per gli investigatori, Meriem ha chiamato un’utenza turca che è in contatto con un libanese che funge da arruolatore. «Ma la ragazza non ha riconosciuto Meriem», ribatte l’avvocato Niero che sostiene come «Meriem è stata usata, dietro a lei c’è qualcuno legato ai lupi solitari».

Il computer. Sentito anche l’investigatore che si è occupato dell’analisi del pc da cui Meriem prima avrebbe fatto propaganda sul web per l’Isis e poi giurato adesione al Califfato da due diversi profili Twitter, entrambi riconducibili a lei. Nel cestino del pc, confermata la presenza di un file con il nome di un carabiniere e della moglie, ma con un indirizzo sbagliato. Per l’accusa, l’indicazione di un possibile bersaglio dell’Is assieme ad altri, sempre indicati da Meriem. Depositate nel fascicolo dell’udienza anche le intercettazioni dei familiari subito dopo la partenza della ragazza.

Prossime udienze. Lunedì tocca a un’amica, il 15 a un’altra amica e alla prof che segnalò i temi dai contenuti preoccupanti. Poi spazio alla requisitoria della pm.

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