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«Renzi mi chiese di Etruria, ma non risposi»

Il numero uno di Bankitalia cita due incontri con l’ex premier, poi difende la Boschi: non fece pressioni

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PADOVA. «Ringrazio Visco per le parole di apprezzamento che ha rivolto al mio governo. Confermo che abbiamo sempre avuto la massima collaborazione e mi fa piacere che egli finalmente fughi ogni dubbio sul comportamento dei ministri. Nessuno ha mai svolto pressioni ma solo legittimi interessamenti legati al proprio territorio: attività istituzionalmente ineccepibile». Il segretario del Pd, ex premier, Matteo Renzi affida a una nota il suo commento a caldo, mentre l’audizione di Ignazio Visco è ancora in corso a San Macuto. Il governatore di Bankitalia ha parlato ieri di «piena collaborazione con tutti i governi», da Berlusconi a Gentiloni e ha chiarito, nella sua versione, anche la posizione del ministro Elena Boschi; rivelando però un inedito particolare che riguarda proprio l’ex premier e che aizza Luigi Di Maio (M5s): «Il Pd mandi a casa Renzi, fece pressioni su Bankitalia».

Una battuta divertente. «Non voglio dire che non mi importasse nulla, ma all’epoca, eravamo più preoccupati degli stress test e del loro effetto su Mps che di Etruria - esordisce Visco - ma fui colpito quando il premier mi chiese informazioni su Etruria. Era aprile 2014 e Renzi mi disse: “Si vogliono mettere insieme orafi con orafi?” alludendo all’offerta Bpvi. La presi come una battuta divertente ma a un nuovo incontro gli risposi: “Caro presidente io delle banche parlo con il ministro dell’Economia e delle Finanze”».

Caso Boschi ed Etruria. Quanto agli appuntamenti Bankitalia-Boschi, Visco precisa: «È nostro dovere istituzionale parlare con ministri e presidenti di Regione. Il nostro vicepresidente Fabio Panetta parlò in due occasioni con la Boschi. Post colloquio, mi disse che non ci fu nessuna richiesta di intervento particolare di Bankitalia ma l’espressione di un dispiacere per il possibile fallimento di una banca di territorio (Etruria, ndr). Sollecitazioni? Nessuna» ribadisce Visco.

Una giornata in aula. Visco ha iniziato l’audizione alle 10 del mattino, interrotta alle 17, i lavori sono ripresi alle 18.30. Visco si è presentato al fianco di Carmelo Barbagallo e ha chiuso il ciclo audizioni sulla vigilanza Bankitalia. Il governatore ha iniziato leggendo una lunga relazione scritta dove, nelle prime righe, si asserisce che «la causa della crisi delle banche non è stata una vigilanza disattenta ma la peggiore crisi della storia del Paese. A cui si aggiunge la mala gestio in un contesto profondamente mutato a livello normativo, per cui «Bankitalia non aveva più, dal 2015, la possibilità degli strumenti di amministrazione straordinaria e commissariamento». Visco cita 75 intermediari commissariati da 2007 (3 ancora in corso) e sette crisi bancarie: le 4 in risoluzione a fine 2015, Mps e le due venete.

La Bad Bank mancata. Per Visco nel 2012 non «era auspicabile né possibile. Il flusso degli npl non era tale da creare una bad bank come la Spagna. Il quadro è però cambiato a fine 2012 e quello che appariva impossibile prima forse era possibile dopo, ma la difficile trattativa con le autorità non l’ha resa fattibile. La Bce, di contro, ha risposto con maggiori controlli, ispezioni mirate, tassi di coperture più elevati. Contiamo 60 miliardi di aumenti di capitale negli anni della crisi».

Prospetti e Consob. «Consob è sempre informata quando inizia e termina una ispezione, la collaborazione è sempre leale e costante a livello tecnico e di vertice. Riconosciamo, però, che nonostante i passi avanti fatti dal protocollo 2012, che fa seguiti al quello del 2007, altro può essere fatto per migliorare la comunicazione. Forse non parliamo ancora la stessa lingua, ma non è questo che ha provocato la catastrofe». Quanto ai prospetti, suggerisce Visco: «Servono sintesi».

Le porte girevoli. Visco è intervenuto anche sugli ex di Bankitalia assoldati dagli istituti, i controllori divenuti controllati. « I nostri ispettori sono pubblici ufficiali e, nell’esercizio di vigilanza, nessuno è mai stato condannato. Dal 2010 ci siamo però dotati di un codice etico per cui, nel primo anno successivo alla conclusione del rapporto, il dipendente deve evitare lavori in conflitto di interesse, dal 2015 lo vieta anche la legge. Seguiamo la vicenda con grande attenzione».

Mps. Quanto al caso Antonveneta chiarisce: «Il prezzo di 9 miliardi pagato da Mps nel 2008 per l'acquisto di Antonveneta non era fuori linea con altre acquisizioni. Era prima della crisi e il mercato in quel momento era un po’ euforico».

Eleonora Vallin



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