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Rapito in Siria, un anno di silenzio

Terrorismo islamico: l’intelligence italiana sulle tracce dell’idraulico trevigiano sparito, mistero sulla sua sorte

di Federico Wolanski
2 minuti di lettura

TREVISO. Miliziano o ostaggio? Vivo o morto? Questi sono i due interrogativi principe oggi su Fabrizio Pozzobon, il 52enne di Castelfranco Veneto sparito dal dicembre del 2016 dopo un viaggio in Turchia che lo avrebbe però portato in Siria «con l’intento di arruolarsi nelle fila dei miliziani ribelli al regime di Assad». A mette nero su bianco queste parole l’ordinanza del giudice comasco Carlo Ottone de Marchi che dopo un anno di silenzio ha riaperto prepotentemente il giallo o sulle sorti del trevigiano con l’ordine di arresto per terrorismo internazionale scattato venerdì per padre e figlio egiziani identificati in Lombardia. Il più giovane dei due, oggi latitante, avrebbe intercettato Pozzobon – o la sua storia – e raccontato al padre del rapimento dell’italiano al confine con la Siria ad opera di miliziani che lo credevano una spia.

Quando sarebbe accaduto questo? A dicembre 2016, quando Pozzobon ha messo piede in Turchia ed iniziato il suo viaggio verso il confine Siriano, o dopo? Sono dettagli ancora top secret, perché sulle sorti del trevigiano sono in molti ad indagare ai vertici del sistema di intelligence e antiterrorismo internazionale italiano. L’indagine è partita nei primi mesi del 2017, quando si sono perse le tracce dell’uomo e si è iniziato a sospettare potesse essere un foreign fighters.

A dare nuovo impulso all’attività proprio le rivelazioni fatte al padre – Sayed Fayek Shebl Ahmed – dal figlio Saged, 23 anni, che oggi sono considerati fondamentali per tracciare il possibile percorso di Pozzobon, e cercare di definirne il destino. Pare si stiano muovendo vari settori dell’antiterrorismo. Impossibile infatti trattare il caso solo come un possibile rapimento, o sparizione all’estero, risolvibile con ambasciate o interpol turca. Ad ora non risultano scambi di ostaggi tra ribelli e regime di Assad, ma non risultano nemmeno esecuzioni di potenziali traditori dell’Isis che facciano pensare a Pozzobon. È ancora vivo? E’ la speranza.

Di certo, oggi, c’è solo il fatto che l’uomo, ex consigliere leghista a Castelfranco, negli ultimi tempi prima di partire per a Turchia e sparire aveva convertito tutte le sue immagini nei profili facebook (due a suo nome) a simboli dell’islam. Donne velate, apprezzamenti per immagini e musica musulmana, “like” alla causa ribelle, e un pollice alzato per il “boia dell’Isis”, Jihadi John.

Non appare un caso se una delle ultime fotografie postate da 52enne sui social è commentata da un giovane miliziano ad Aleppo, il cui ultimo post è del dicembre 2017, e che un anno prima a Pozzobon scriveva (in arabo) «Fratello, queste immagini sono sacre» riferendosi a una ragazza velata scelta dal trevigiano per la sua bacheca. Nel profilo di quest’uomo, siriano, professione “soldato”, foto di guerra, kalashnikov, preghiere. Un contatto? Un rapporto solo “di rete”? Forse si indaga anche su questo. Nel frattempo resta il silenzio seguito all’ultimo messaggio whastapp mandato nel dicembre 2016 dalla Turchia: «Qui tutto bene».

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