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Bindi: «Il Veneto si salva se non chiude gli occhi»

Mafie, la presidente della Commissione parlamentare sul rischio infiltrazioni «La ’ndrangheta ha conquistato la Lombardia e l’Emilia ma può essere fermata»

di Albino Salmaso
4 minuti di lettura

PADOVA. «Il Veneto non è la Lombardia e l’Emilia, fa ancora in tempo a salvarsi dalle infiltrazioni della ’ndrangheta, ma non deve chiudere gli occhi». Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, nella relazione conclusiva presentata con il ministro degli Interni Marco Minniti, sottolinea l’assoluta necessità di contrastare il crimine organizzato trasformato in una Grande Impresa, che dal riciclaggio del denaro “sporco” ricava poi investimenti “puliti”. La mafia dopo la stagione delle bombe negli anni Novanta, con le stragi di Falcone e Borsellino, e gli arresti di Riina e Provenzano, ha cambiato strategia e sembra sparita. Ma non è così: la mafia uccide quando deve difendere il proprio business, come è avvenuto in Slovacchia con l’assassinio del giornalista Jan Kuciak.

Onorevole Bindi, l’economia del Veneto è stata segnata dalla crisi delle banche popolari e dal crollo degli affidamenti alle imprese. Un crac da 12 miliardi. Lei non teme che il crimine possa essersi sostituito, almeno in parte, ai canali tradizionali del credito?

«L’attività ispettiva sulle banche in materia di riciclaggio è svolta da Bankitalia, risulta che ci sono state 16 mila segnalazioni, ma non mi pare giusto lanciare allarmi ingiustificati. La vera emergenza in materia di riciclaggio dei capitali è il traffico di droga. La ’ndrangheta con questo business criminale ha un fatturato superiore a quello di un medio paese Ocse e intossica l’economia. Nel passaggio vorticoso di denaro c’è troppa collaborazione tra i professionisti della società civile e il sistema bancario nel suo insieme».

È la mafia dei “colletti bianchi” che guida il sistema?

«No, c’è un intreccio molto complesso. La violenza con l'intimidazione e anche l'omicidio restano la caratteristica del metodo mafioso, ma la sua forza è quella di trasformare la vittima in complice, con un sistema articolato spesso senza bisogno della politica. La grande intermediazione porta le firme dei professionisti, ingegneri, avvocati, medici. Oltre alla intimidazione violenta, la mafia sa tessere relazioni nella società, altrimenti non si spiegherebbe come questo potere criminale abbia una storia più lunga dell'Italia unita».

Cosa è successo in questi ultimi due decenni?

«Il Nord ha chiuso gli occhi e la ’ndrangheta si è fatta largo in Lombardia, Emilia e anche in Europa. Le radici restano in Calabria, così come Cosa nostra le ha in Sicilia e la Camorra in Campania. Ma gli affari si fanno altrove, fuori Italia. La ’ndrangheta è arrivata ad uccidere in Slovacchia il giornalista Jan Kuciak e la sua fidanzata. Questa purtroppo è la tragica verità: sono stati uccisi perché hanno ficcato il naso e disturbato la cosca trapiantata a Bratislava. Ma da quanti anni erano lì con i loro affari al punto da diventare una potenza economica? Il giornalista ha scoperto l’altarino ed è stato eliminato».

Le indagini vanno molto a rilento, come mai?

«Non esiste collaborazione adeguata tra la magistratura italiana che aveva segnalato il pericolo e quella della Slovacchia. Le stesse difficoltà operative le abbiamo con l’Olanda, la Spagna e la Germania e con tutta l'Europa perché in questi paesi non esiste il reato associativo 416 bis e quindi non hanno coscienza della presenza della criminalità. Il clan finito nel mirino della magistratura è stato rilasciato e torna in libertà perché se non ha sparato non è perseguibile, mentre in Italia vai in galera se fai parte di un'associazione criminale come la ’ndrangheta o Cosa nostra. Discorso analogo per il riciclaggio. Questa capacità di espatriare della ’ndrangheta al Nord e in Europa deve far riflettere. In Olanda si usa il porto di Rotterdam per la cocaina e poi lì si fanno affari con i fiori».

Le inchieste e le sentenze hanno dimostrato come la ’ndrangheta abbia conquistato interi comuni della Lombardia e dell'Emilia Romagna con un sistema di appalti e nell'edilizia. Il Veneto corre gli stessi pericoli e rischia di mettere fuori mercato le aziende sane?

«Io dico sempre che il Veneto è ancora in tempo per salvarsi e non diventare come la Lombardia, però deve avere coraggio. Non può fingere di non vedere il pericolo e negare l'evidenza dei fatti, oggi ci sono strumenti per riconoscerli e far scattare le interdittive ».

Le vostre critiche alla magistratura hanno fatto discutere qui in Veneto.

«Vorrei partire dall'ultimo caso, con Venezia che non riconosce il reato di associazione mafiosa quando la procura di Catanzaro invece lo ha messo al centro della sua inchiesta e così ha fatto attivare la procura di Padova. Sia chiaro, noi abbiamo la magistratura e le forze di polizia altamente specializzate, tra le migliori al mondo, gli americani prendono consigli dall’Italia per la lotta alla mafia, ma questa specializzazione deve diventare cultura di tutte le forze dell'ordine, della magistratura giudicante e anche della magistratura inquirente ordinaria e non solo del pool della direzione Distrettuale antimafia di ogni regione. Diceva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che un buon carabiniere di una stazione di periferia deve essere in grado di riconoscere un mafioso e così un magistrato giudicante che porta a sentenza un femminicidio, un furto e una rapina deve essere in grado di applicare il 416 bis con il reato associativo. Purtroppo spesso manca la specializzazione delle Procure antimafia che va condivisa, e poi ci sono dei casi concreti in cui si è fatto fatica ad avviare le inchieste».

Siamo quindi di fronte a un deficit di tipo culturale e investigativo?

«Ci sono casi di complicità anche nelle istituzioni. Ma non è questo il tema in discussione, anche se oggi ci sono dei magistrati delle forze dell'ordine condannati per complicità con i poteri mafiosi. Ma le nostre procure, le nostre forze di polizia ci sono invidiate dal mondo intero; troppe volte però la grandissima preparazione di alcune eccellenze non diventa patrimonio comune di tutti».

Onorevole Bindi, le cronache di questi giorni hanno raccontato del traffico dei rifiuti, che dalla Campania finisce in Veneto. Lei che ne pensa?

«Non è materia nostra perché esiste la commissione Ecomafie e rispettiamo le loro competenze e prerogative: hanno fatto un ottimo lavoro. In riferimento all'ultimo caso che ha interessato la Campania, fino alle dimissioni del figlio del governatore De Luca, debbo dire che le figure dei collaboratori di giustizia ci hanno insegnato a fare un vaglio molto rigoroso. Vanno trovati riscontri oggettivi prima di lanciare critiche e gli inquirenti lo stanno facendo, lasciamoli lavorare».

Come mai nella campagna elettorale solo i 5 Stelle hanno affrontato il tema mafia, magari con un eccesso di polemica verso il Pd a volte ingiustificato?

«Purtroppo è vero. Solo il Movimento 5 Stelle lo ha fatto diventare un tema rilevante e hanno eletto anche un testimone di giustizia che ha raccolto un sacco di voti a Trapani, una zona molto delicata della Sicilia, senza che abbia potuto fare campagna elettorale perché era sotto protezione. Certo, il Movimento 5 Stelle spesso usa dei termini eccessivi. Io mi auguro che tutti i partiti capiscano che la liberazione dalla corruzione e della mafia è il presupposto fondamentale per una qualità della democrazia e dello sviluppo economico del Paese».

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