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Autonomia in bilico: la bozza Stefani sul tavolo di Conte ma il M5S dà l’altolà

Il ministro: sensibilità diverse nel Governo ma sono ottimista D’Incà (5 Stelle): «No a scelte affrettate, rischiamo tensioni»

Filippo Tosatto
2 minuti di lettura

VENEZIA

Oggi Erika Stefani farà capolino a Piazzola sul Brenta per officiare la chiusura delle celebrazioni della Grande Guerra. Trincee e assalti, ripiegamenti e fuoco amico: quasi una metafora (fedele però) degli ostacoli politici e parlamentari che insidiano la mission del ministro leghista alle Autonomie e agli Affari regionali, chiamata – un anno dopo la vittoria del sì referendario – a tradurre in poteri e risorse l’aspirazione federalista del Veneto. Né la vicentina lesina l’impegno, consapevole che, qualora fallisse il bersaglio, l’approdo evocato da Luca Zaia si rivelerebbe un miraggio, destinato a sbiadire nel disincanto.



Depurata da slogan e attese messianiche, la verità dei fatti racconta che la bozza d’intesa tra Stato e Regione, messa a punto dopo otto mesi di trattative sull’asse Roma-Venezia, giace da due settimane sul tavolo di Giuseppe Conte: «L’ho trasmessa al presidente del Consiglio», conferma Stefani «è in fase di valutazione da parte del Governo nella sua collegialità con gli approfondimenti specifici sollecitati da alcuni dicasteri».

Toni diplomatici, quelli del ministro, che non celano l’esistenza di serie obiezioni di marca 5 Stelle: «C’è la volontà comune degli alleati di procedere verso il regionalismo differenziato, poi emergono sensibilità e priorità differenziate, come avviene anche in sede di confronto sulla legge di bilancio, ma io sono e resto ottimista».



Il mantra del governatore recita 23 materie di competenza abbinate alla disponibilità di 9/10 dei tributi Iva e Irpef sul modello altoatesino. È un traguardo realistico? «Intendiamoci una volta per tutte: stiamo parlando di un obiettivo, della tappa finale di un processo di riforma, condizionato – nella parte finanziaria – all’attivazione dei costi standard che tuttavia non sono ancora legge dello Stato né possono essere contemplati dalla nostra bozza». Proviamo a decriptare: ad oggi vale il criterio della “spesa storica” e ciò comporta gravi ostacoli in sede di spartizione del gettito fiscale; perché il Veneto non è l’unico ad ambire alla maggiore autonomia; la fase avanzata del negoziato coinvolge pure Lombardia ed Emilia-Romagna, altre locomotive del Paese, mentre ulteriori regioni, a vario titolo, sono decise a farsi avanti.



Lo spauracchio, alimentato dall’allarme dei tecnici del ministero dell’Economia, è quello di un aggravio dello squilibrio tra Nord opulento e Sud indigente: apprendiamo da fonte grillina che la questione è stata già discussa, con toni accesi, dall’assemblea dei parlamentari meridionali del M5S, unanimi nell’esortare i rappresentanti al Governo a bloccare ogni ipotesi di accesso regionale diretto ai tributi in nome della più rassicurante “compartecipazione”, regolata, in tempi e modalità, dallo Stato centrale. Opzione, peraltro, già ventilata dal ministro della Salute Giulia Grillo e dal sottosegretario Stefano Buffagni (il vice pentastellato di Stefani) che reputano «irrealistiche» le richieste formulate dalla delegazione veneta.



A dare voce a queste perplessità, con l’abituale franchezza, è Federico D’Incà: «Le tre Regioni che per prime acquisiranno le materie diventeranno il punto di riferimento per un cambiamento istituzionale epocale del nostro Paese, è un momento importantissimo che non ammette soluzioni frettolose», premette il deputato bellunese «le risorse umane delle Regioni non hanno le competenze per sviluppare le responsabilità che verranno date con l’autonomia. Servono nuove e più avanzate professionalità – penso al versante decisivo dell’istruzione e formazione professionale – perciò il Governo deve dimostrare la capacità di mediare e di rivolgersi a tutti gli italiani, dal Piemonte alla Sicilia. Diversamente, si rischiano tensioni che possono diventare fonte di paura, perché legate alla prospettiva di arretramento economico e sociale». Parole inequivocabili, che hanno il tenore dell’altolà in una congiuntura politica già tempestosa.



Tant’è. Chi prevede una collisione tra alleati gialloverdi è il parlamentare feltrino Dario Bond; autonomista convinto, dubita della sostenibilità dell’operazione in atto: «In aula Forza Italia darà una mano però i continui scontri tra Lega e M5S non inducono all’ottimismo. Il trasferimento dei tributi è un nodo essenziale, senza quattrini l’autonomia resta sulla carta. Suggerirei a tutti di ricalibrare gli obiettivi perseguendo traguardi realistici, la propaganda elettorale non può durare all’infinito». –



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