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L’autonomia sarà blindata Il giurista: «Approvazione con un voto di fiducia»

Il professor De Nardi, membro della delegazione trattante per conto del governo «Iter analogo a quello che ha ratificato le intese tra Stato e confessioni religiose»

Albino Salmaso
3 minuti di lettura
(ansa)

padova

Se l’intesa sull’autonomia differenziata tra la regione Veneto e il governo è ferma da settimane sul tavolo del premier Giuseppe Conte e non fa un passo in avanti, la colpa non è solo della lite tra Lega e M5S sul decreto fiscale che ha mandato il tilt Di Maio e Salvini. Qui la manina che scrive e poi cancella non esiste perché il patto verrà siglato da tre figure istituzionali: Luca Zaia, Erika Stefani e Giuseppe Conte . E nessuno lo potrà modificare. L’intesa sarà blindata: va accettata o respinta in toto. E il Parlamento? Dovrà solo votare.

Lo scontro vero tra Lega e M5S si gioca quindi sullo strumento legislativo che il ministro Stefani ha scelto: abbandonata la legge delega con i decreti legislativi per singola materia, a Roma hanno imboccato la strada di una norma “rafforzata” in tutto simile a quella sperimentata per ratificare gli accordi tra lo Stato italiano e le religioni diverse da quella cattolica. A svelare il mistero è il professor Sandro De Nardi, docente di diritto pubblico all’università di Padova e nominato dall’ex sottosegretario Gianclaudio Bressa nella delegazione del governo che ha firmato la preintesa sulle 5 materie il 28 febbraio scorso. De Nardi ne ha parlato diffusamente nel corso del convegno organizzato dal centro Giorgio Lago che ha riunito a Padova i consulenti giuridici di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che hanno tirato il bilancio a un anno dal referendum, che Luca Zaia considera il punto di svolta.

Professor De Nardi, qual è l’iter che si sta profilando per l’intesa sull’autonomia differenziata, 3 comma dell’articolo 116 della Costituzione?

«L’iter sembra essere quello già utilizzato per definire i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose diverse da quella cattolica, regolato dall’articolo 8 della Costituzione. In quel caso si avvia una trattativa tra i rappresentanti della confessione religiosa e il governo e, una volta definita e scritta nei minimi dettagli, l’intesa viene firmata dal premier previa espressa autorizzazione del Consiglio di ministri. L’ultimo passaggio è quello decisivo: tocca al Parlamento dire sì o no, ma deputati e senatori non possono presentare emendamenti all’intesa».

Una volta che sarà firmata l’intesa tra Zaia e Conte cosa succederà?

«Il governo dovrà presentare in Parlamento un disegno di legge volto a recepire l’intesa che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta dalle due Camere: serve cioè il voto favorevole del 50% più 1 dei deputati della Camera e dei senatori della Repubblica. Non va però dimenticato che la presentazione del disegno di legge può avvenire solo previa autorizzazione del presidente della Repubblica, che dunque è chiamato ad effettuare un primo controllo».

Quindi non si tratta di una procedura di revisione costituzionale, come sostengono alcuni presidenti di Regione ed esponenti politici?

«No. Si procede con una legge ordinaria che però è del tutto speciale, perché atipica e rinforzata sia per contenuto che per procedimento. Il che le attribuisce una forza ben maggiore di una legge ordinaria: ad esempio non potrà nemmeno essere sottoposta a referendum abrogativo da parte del popolo italiano. Non solo. La legge che approverà l’intesa raggiunta tra lo Stato e il Veneto diventerà un parametro per valutare la legittimità costituzionale delle norme dello Stato: se non rispetteranno il patto sull’autonomia saranno pertanto annullabili dalla Corte costituzionale. Infine, chi vorrà modificare una sola virgola dell’intesa dovrà ricominciare il complicato iter daccapo».

I parlamentari che ruolo giocano?

«Devono limitarsi a prendere atto dell’intesa firmata: se la condividono la approvano con legge, altrimenti la bocciano. Il Parlamento, nel fare le sue valutazioni, dovrebbe farsi carico di tutelare l’interesse nazionale …».

E’ una prassi assai rara...

«Sì, certo: è una procedura molto complicata ma, se arriva davvero fino in fondo, garantisce sul serio il rafforzamento dell’autonomia della Regione, perché la rende invulnerabile di fronte ai futuri attacchi delle leggi ordinarie. E segnerebbe una svolta culturale nel nostro Paese: perché supererebbe il regionalismo dell’uniformità previsto dalla Carta del 1948».

La preintesa del 28 febbraio è quindi carta straccia?

«Non credo. L’accordo siglato da Bressa con i presidenti Zaia, Bonaccini e Maroni è la pietra miliare dell’intesa definitiva che sarà firmata. Il governo Gentiloni il 28 febbraio scorso era dimissionario senza la pienezza dei poteri, poteva sbrigare solo gli affari correnti, e quindi anche se avesse voluto non avrebbe potuto firmare l’intesa vera e propria».

L’ultima parola spetterà sempre al presidente della repubblica: se Zaia inserisce il trasferimento dei 9 decimi di prelievo fiscale nell’intesa, secondo lei Mattarella può dare il via libera?

«Non mi permetto certo di dare consigli al Capo dello Stato: credo però che per lui, garante della Costituzione, sarebbe molto problematico promulgare una legge del genere, vista la netta bocciatura che sul punto è già stata pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 118/2015 che ha dato il via libera al referendum del 22 ottobre. È dunque assai probabile che si rifiuti di promulgarla, inviando contestualmente un messaggio alle Camere in cui spiega le ragioni del dissenso». —





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