Tra israeliani e palestinesi a mettere pace è la musica
Due insegnanti hanno accompagnato tre allievi arabi di 12 e 13 anni a Sacile Lo scambio culturale è promosso dall’istituto Magnificat della Terrasanta
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Mancano pochi giorni a Natale e la Terrasanta è di nuovo in fiamme. L’annuncio del presidente americano, Donald Trump, di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele ha innescato una nuova serie di scontri e proteste, con morti e feriti. Le dichiarazioni di governo israeliano e organizzazioni palestinesi sono come sempre improntate a un muro contro muro che non lascia trapelare alcuno spiraglio di mediazione.
Eppure, proprio nel cuore della città vecchia di Gerusalemme, c’è un’oasi dove la pace fra israeliani e palestinesi, fra ebrei, musulmani e cristiani si fa tutti i giorni. Con la musica. Il Magnificat è un istituto musicale diretto dai frati francescani della Custodia di Terrasanta che accoglie insegnanti e studenti di qualsiasi etnia, religione, cittadinanza. Perché per fare e ascoltare musica non servono documenti di identità né attestati di appartenenza a Stati o confessioni.
Qualche giorno fa – nel solco di una collaborazione che si rinnova da molti anni – un piccolo pezzo dell’istituto Magnificat è approdato a Sacile, accolto dall’associazione Anita, presieduta da Roberto Cappuzzo, che promuove e sostiene scambi e progetti con Gerusalemme. Due insegnanti – un flautista ebreo, Hagai Ashdot, e una violoncellista giordana, Nadine Shahine – hanno accompagnato tre studenti arabi di 12 e 13 anni per un incontro ravvicinato con coetanei italiani.
Laurice Amer, Ainor Taweel e Ivan Abdelmalak hanno vissuto per cinque giorni nelle case dei loro amici italiani, hanno frequentato la loro scuola – l’indirizzo musicale della scuola media “Balliana-Nievo” di Sacile – hanno suonato in mezzo a loro nel concerto di San Nicolò al Teatro Zancanaro. E i loro insegnanti – con cui abitualmente parlano in inglese – hanno fatto lo stesso ed hanno partecipato al grande concerto natalizio in Duomo con la Corale “Vincenzo Ruffo” e l’orchestra Naonis di Pordenone.
In Italia per la prima volta, i tre ragazzi di Israele, dapprima intimiditi, si sono a poco a poco lasciati andare e in 5 giorni di soggiorno, tra studio, relax e visite in giro per la città, hanno vissuto con le famiglie ospitanti un’esperienza che ha suggellato nuove amicizie. Per la prima volta hanno visto la neve, appena caduta in Piancavallo; per la prima volta hanno visto Venezia e hanno imparato le prime parole in italiano, hanno mangiato una vera pizza e gustato una cioccolata calda come si deve. Usando l’inglese come passepartout, ma soprattutto la musica come ponte per comunicare, adolescenti italiani e israeliani hanno vissuto insieme, incuriositi gli uni degli altri ma mai distanti. E gli adulti – i genitori ospitanti, gli insegnanti italiani e quelli arrivati da Gerusalemme – si sono lasciati anch’essi contagiare dalla voglia di stare insieme e di condividere tempo e attività, magari mandando all’aria la routine quotidiana di lavoro e impegni familiari.
«Nonostante la curiosità – racconta una delle mamme ospitanti – le preoccupazioni pratiche prima del loro arrivo erano forti. «Di che cosa parleremo? Riusciremo a capirci parlando inglese?», si chiedevano i miei figli. Ma dopo i primi istanti di imbarazzo reciproco, sono subentrati una naturalezza ed un piacere che nascevano dalle semplici cose di tutti i giorni: andare a scuola col pulmino, mangiare seduti alla stessa tavola, ridere di uno strafalcione in inglese, giocare a palle di neve o a calcetto. I 5 giorni sono volati e alla fine, al momento dei saluti, avevamo tutti un groppo in gola. E Ivan, il nostro piccolo ospite, ragazzo timido e di poche parole, non la finiva più di chiacchierare e raccontare. Per aprirci il suo cuore e farci sentire davvero amici» .
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Eppure, proprio nel cuore della città vecchia di Gerusalemme, c’è un’oasi dove la pace fra israeliani e palestinesi, fra ebrei, musulmani e cristiani si fa tutti i giorni. Con la musica. Il Magnificat è un istituto musicale diretto dai frati francescani della Custodia di Terrasanta che accoglie insegnanti e studenti di qualsiasi etnia, religione, cittadinanza. Perché per fare e ascoltare musica non servono documenti di identità né attestati di appartenenza a Stati o confessioni.
Qualche giorno fa – nel solco di una collaborazione che si rinnova da molti anni – un piccolo pezzo dell’istituto Magnificat è approdato a Sacile, accolto dall’associazione Anita, presieduta da Roberto Cappuzzo, che promuove e sostiene scambi e progetti con Gerusalemme. Due insegnanti – un flautista ebreo, Hagai Ashdot, e una violoncellista giordana, Nadine Shahine – hanno accompagnato tre studenti arabi di 12 e 13 anni per un incontro ravvicinato con coetanei italiani.
Laurice Amer, Ainor Taweel e Ivan Abdelmalak hanno vissuto per cinque giorni nelle case dei loro amici italiani, hanno frequentato la loro scuola – l’indirizzo musicale della scuola media “Balliana-Nievo” di Sacile – hanno suonato in mezzo a loro nel concerto di San Nicolò al Teatro Zancanaro. E i loro insegnanti – con cui abitualmente parlano in inglese – hanno fatto lo stesso ed hanno partecipato al grande concerto natalizio in Duomo con la Corale “Vincenzo Ruffo” e l’orchestra Naonis di Pordenone.
In Italia per la prima volta, i tre ragazzi di Israele, dapprima intimiditi, si sono a poco a poco lasciati andare e in 5 giorni di soggiorno, tra studio, relax e visite in giro per la città, hanno vissuto con le famiglie ospitanti un’esperienza che ha suggellato nuove amicizie. Per la prima volta hanno visto la neve, appena caduta in Piancavallo; per la prima volta hanno visto Venezia e hanno imparato le prime parole in italiano, hanno mangiato una vera pizza e gustato una cioccolata calda come si deve. Usando l’inglese come passepartout, ma soprattutto la musica come ponte per comunicare, adolescenti italiani e israeliani hanno vissuto insieme, incuriositi gli uni degli altri ma mai distanti. E gli adulti – i genitori ospitanti, gli insegnanti italiani e quelli arrivati da Gerusalemme – si sono lasciati anch’essi contagiare dalla voglia di stare insieme e di condividere tempo e attività, magari mandando all’aria la routine quotidiana di lavoro e impegni familiari.
«Nonostante la curiosità – racconta una delle mamme ospitanti – le preoccupazioni pratiche prima del loro arrivo erano forti. «Di che cosa parleremo? Riusciremo a capirci parlando inglese?», si chiedevano i miei figli. Ma dopo i primi istanti di imbarazzo reciproco, sono subentrati una naturalezza ed un piacere che nascevano dalle semplici cose di tutti i giorni: andare a scuola col pulmino, mangiare seduti alla stessa tavola, ridere di uno strafalcione in inglese, giocare a palle di neve o a calcetto. I 5 giorni sono volati e alla fine, al momento dei saluti, avevamo tutti un groppo in gola. E Ivan, il nostro piccolo ospite, ragazzo timido e di poche parole, non la finiva più di chiacchierare e raccontare. Per aprirci il suo cuore e farci sentire davvero amici» .
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