Don Luigi compie 90 anni, i ricordi del prete del Vajont
Ancora attivo a Chions, Doro fu protagonista a Erto nei mesi precedenti la frana. «Raccolsi i timori della gente e scrissi lettere al Prefetto, ma nessuno ci ascoltò»
Don Luigi Doro compie novanta anni ma continua a esercitare nelle parrocchie di Chions, aiutando i colleghi titolari nelle celebrazioni domenicali e non solo.
È cambiata molto la Chiesa in questi 66 anni di sacerdozio?
«Sì. È mutato il modo di percepire le cose. In realtà, tutto è cambiato, dalle persone alla società. Fa un po’ impressione nel guardarsi indietro. La mia speranza è che i giovani vengano sempre coinvolti e aiutati per avere delle nuove generazioni coscienziose».
Per molti Lei è il “prete del Vajont”. Cosa ricorda del periodo in cui visse a Erto?
«Ammetto che all’inizio ero titubante e chiesi al Vescovo se era il caso di mandare me, novizio al primo incarico, in una comunità che stava vivendo una situazione così delicata. Arrivai nel 1959 e fervevano i lavori di costruzione della diga. Ma anche le paure della gente e le proteste degli espropriati. Mi ricredetti subito».
In che senso?
«Io e mia sorella Teresina fummo subito accolti come persone di famiglia. La gente si rivelò più che ospitale e divenni un punto di riferimento per tutti, compresi i carabinieri e il sindaco che spesso mi chiedevano di intervenire in qualche situazione più difficile del solito. Come quando successe una disgrazia ma gli agenti accorsi sul posto non sapevano come documentare l’accaduto. Io ero appassionato di fotografia e dovetti scattare un servizio di polizia giudiziaria, oltre a benedire la salma. Purtroppo molti dei miei scatti antecedenti al 9 ottobre 1963 sono andati perduti».
La gente di Erto le confidava timori per un’imminente frana del monte Toc?
«Ricordo che alcuni abitanti mi domandarono un interessamento nei confronti della Sade, la ditta proprietaria dell’impianto, perché i terreni venivano pagati poco e la gente era costretta a emigrare. Scrissi anche delle lettere al Prefetto su sollecito dei compaesani ma non servì a nulla».
Perché non venne ascoltato?
«Fui invitato in cantiere e conobbi personaggi di spicco come l’ingegnere Pancini. Tutti cordiali e educati ma alla fine nessuno ascoltò la popolazione che sapeva che sussistevano gravi pericoli. Stetti male quando dovetti cambiare parrocchia perché mi ero affezionato molto a quella valle. Dopo poche settimane ci fu la sciagura».
Del periodo successivo al Vajont cosa ricorda?
«L’impegno nel sociale, oltre che sull’altare. C’era il boom economico e la società evolveva ma non tutto era positivo. Si dovevano realizzare opere parrocchiali, oratori, iniziative per aggregare i giovani che rischiavano di perdersi. E gli infortuni in fabbrica, i morti in incidenti stradali, le lotte di classe. Furono anni complicati».
L’affetto che a distanza di tanti anni le portano ancora tante persone dimostra che il suo fu un impegno proficuo.
«Fa sempre piacere quando suona il campanello e c’è qualche amico che ti viene a trovare. Le famiglie numerose e le tavolate in compagnia conosciute sin da bambino riempiono il cuore». —
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