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Parole dure come sassi: verità e vita di Turoldo

De Clara e Vit disegnano la figura del grande predicatore

di ANGELO FLORAMO
2 minuti di lettura

Poeta, filosofo, animo inquieto e religioso fuori dagli schemi. La vita di Turoldo si snoda lungo gran parte della storia del Novecento e ne ripercorre i principali avvenimenti: collaborò attivamente con la Resistenza antifascista e promosse le istanze di rinnovamento ecclesiale e sociale negli anni ’60, ’70 e ’80. Un impegno instancabile alla costante ricerca della pace e della giustizia. Esce per i tipi di Forum una graphic novel “I segni di una vita” con i testi di Luca De Clara i disegni di Alessandro Vit e la prefazione di Angelo Floramo. La narrazione si alterna al tratto grafico e illustra una vita non sempre facile da raccontare: l’intensità dell’uomo, le sue ambizioni, le relazioni e le inevitabili contraddizioni. Saranno loro a parlarne oggi, mercoledì 28 febbraio, alle 18 alla biblioteca Joppi di Udine.

di ANGELO FLORAMO

Leggo, guardo e assaporo sorpreso il senso di una vita che si dipana tra segni e sussurri, nell’intensità della Parola che deflagra come un lampo di luce tra ombre e contorni, regalando, entro il gioco dei riflessi, quelle inaspettate verità che hanno la grazia della Rivelazione.

Ho amato da subito questo non libro, così nuovo nella concezione, leggero e gravido di umori nello stesso tempo, modernissimo nel gioco dei diversi registri della comunicazione, nella scelta variegata dei caratteri tipografici, nelle forme che incorniciano o destrutturano, legando il lettore alla pagina in una sottile trama di rimandi e suggestioni. E l’ho amato anche di più proprio perché nel rispetto della gigantesca figura di David Maria ha il sapore della sorgente più che della sterile biografia. Ne conserva stupore e meraviglia in quell’intreccio che pagina dopo pagina si squaderna tra i significanti e i significati, le immagini, tratteggiate con linee essenziali, e i colori che accendono o sopiscono le increspature del cuore e poi, segno tra i segni, quelle della Parola: turoldiana, profonda e dura come una crepatura nella roccia, ma tanto feconda da far nascere fiori negli anfratti; poi, ma non in subordine, quella del commento, sempre puntuale, mai invasiva ma nemmeno marginale

Il significato più profondo di questa innovativa e bella operazione culturale è senz’altro quello di perlustrare le pieghe di un’esistenza, appianandole nella superficie di una mappa che diventa utilissima al lettore contemporaneo. Sempre. Lo guida a orientarsi entro i paesaggi multiformi e vari di una vita intensa e fino all’ultimo ben vissuta, quella del figlio più povero di Coderno, destinato a trasformare in canto l’assunto evangelico della povertà. C’è sempre un andare che consuma il cuore, in queste carte: la vocazione, lo studio, le scelte suggerite dall’urgenza del sentire, la necessità di capire, di capirsi, la scintilla della Carità, che è Amore capace di superare nella sua luce anche la Sapienza e perfino la Fede. A ogni partenza segue sempre un ritorno.

Il suo volto si confonde con le piaghe dei poveri, le grida scagliate contro l’ingiustizia, la pietà del pastore contro la sazietà della ricchezza, oscena e inaccettabile: «Insistevo sul fatto che appunto è il Vangelo a dire che i ricchi “sono maledetti”… È stato più o meno a quel punto che una signora, vestita di blu (ricordo bene) si alzò sdegnosamente e uscì di chiesa. Tutta l’assemblea avvertì il gesto. Io rimasi un momento perplesso, poi dissi: “Mi spiace, ma io non ho colpa se Dio è dall’altra parte”. Ripresi la liturgia».

Milano, la Resistenza, le difficoltà del dopoguerra, e poi Nomadelfia e Firenze, la chiaroveggenza di un sindaco (La Pira) e la sordità di un cardinale (Florit). E il capolavoro neorealista degli “Ultimi”, le straordinarie novità del Concilio, la povera tana di Sotto il Monte, ultima dimora, fra i sassi dell’antica abbazia cluniacense dell’XI secolo. Ancora sassi.

Giunto alla fine di questa policroma traversata ho finalmente capito che Giuseppe Turoldo, il figlio della famiglia più povera del paese, si è scelto il nome di David per due motivi: perché la sua vita è stata davvero, come quella del re salmista, un canto doloroso e appassionato di lode; ma anche perché David, il più piccolo e povero figlio di Israele, popolo errante e disperso, perseguitato dalla tracotanza dei potenti, con un sasso abbatte il Gigante che metaforicamente ne rappresenta tutta l’inutile supponenza.

Sassi e parole. Capaci di infrangere le cristallerie della falsa coscienza tanto quanto di “tirare su” una casa. Non lontano, il fiume. Selvaggio battistero tra le cui acque riscoprire la stupefacente umanità di un Dio che si incarna per amore.

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