Intellettuali e studiosi a Udine contro il genocidio culturale
Gli orrori di Mostar e Palmira hanno mobilitato le coscienze per fermare lo scempio Università e Fondazione Aquileia in prima linea. E Tim Slade presenterà il suo film
di ANDREA ZANNINIFra i vari, sofisticati metodi che l’uomo ha inventato nei millenni per cancellare le popolazioni sconfitte ve n’è uno che non passa mai di moda: distruggerne le testimonianze artistiche e architettoniche, annullarne il patrimonio culturale.
La storia ci ritorna un’infinità di esempi, dalla distruzione di Cartagine, a quella di Coventry e Dresda, ai roghi di libri e biblioteche che ogni regime violento ha, in modo più o meno pianificato, sempre perpetrato.
Perché l’eliminazione fisica sancisce la vittoria sull’Altro, ma la distruzione della sua memoria è un passo in più: garantisce l’impossibilità che ne resti una traccia nel futuro.
I casi recenti, le cui immagini abbiamo ancora negli occhi, non sono che l’ennesima riproposizione di quest’arma di distruzione di massa: dal ponte di Mostar preso a cannonate, ai mausolei di Timbuktu in Mali, ai templi di Palmira fatti saltare dall’Isis.
L’architettura si presta bene a fungere da capro espiatorio. Gli edifici monumentali occupano infatti materialmente lo spazio, sono simboli plastici e visibili di cultura.
La loro distruzione ha una visibilità eccezionale: quando gli aerei dirottati dai terroristi di al-Qaeda si schiantarono sulle Twin Towers l’effetto fu moltiplicato proprio dal fatto che il World Trade Center era il simbolo fisico del mondo occidentale che il fondamentalismo jiadista voleva distruggere.
Contro questa tipologia avanzata di barbarie stiamo sviluppando degli anticorpi. Stiamo cioè cominciando a reagire in modo sempre più forte, anche se magari scomposto.
Si sta per esempio affermando a livello internazionale la nozione di “genocidio culturale”. È un concetto assai complesso, che delimita un perimetro ancora incerto di azioni: dalla distruzione del patrimonio storico, artistico e architettonico, alle deportazioni di massa, alle pulizie etniche, all’assimilazione culturale.
Vittime preferite dei genocidi culturali sono naturalmente le popolazioni, le culture e le lingue minoritarie, ma come ben sappiamo, nella storia novecentesca si è provato anche a eliminare popolazioni non certo irrilevanti, dai polacchi agli ebrei, dagli armeni ai “cosacchi”.
Un passo in avanti positivo si è compiuto nell’agosto 2016, quando la Corte penale internazionale dell’Aia ha processato il terrorista maliano Ahmad Al Faqi Al Mahdi, reo confesso di aver comandato la distruzione di nove mausolei e della moschea di Sidi Yahia a Timbuctù, monumenti annoverati dall’Unesco tra i patrimoni dell'umanità.
Si è trattato del primo caso trattato da questo supremo tribunale come “distruzione del patrimonio culturale”.
«Attaccare e distruggere siti e simboli culturali e religiosi delle comunità è un attacco alla loro storia», dichiarò in quell’occasione il procuratore responsabile del caso, che ottenne per Al Mahdi una condanna a nove anni di carcere.
È ancora più recente la notizia che la distruzione del patrimonio culturale sta cominciando a essere considerata tra i casi della cosiddetta “responsabilità di proteggere”.
Di cosa si tratta? Si tratta di una responsabilità collettiva, che è esercitabile da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e che autorizza l’intervento militare (come ultima risorsa) in caso di massacri, genocidi, pulizie etniche, gravi violazioni dei diritti umani che i singoli Stati sovrani non sono in grado di evitare. Siccome l’Onu, con la risoluzione 2347 del 2017 ha definito la distruzione deliberata del patrimonio culturale un “crimine di guerra”, stiamo forse andando nella direzione di considerare casi come quelli della distruzione dei Buddha di Bamiyan da parte dei talebani nel 2001, come sufficienti, di per sé, per l’intervento sul campo dei contingenti di pace.
A questi temi è dedicata la giornata di studi che l’università di Udine e il Dipartimento di studi umanistici e del patrimonio culturale organizzano assieme alla Fondazione Aquileia lunedì 21 maggio a palazzo Garzolini di Toppo Wassermann, e che rientra nelle manifestazioni dell’Anno europeo del Patrimonio culturale. Il Dipartimento è impegnato dal 1994 in campagne di scavo in Siria e (dopo lo scoppio della guerra nel 2011), in Kurdistan, ai confini dei territori occupati dall’Isis. La Fondazione Aquileia ha organizzato il ciclo di mostre intitolato “Archeologia ferita”, che ha portato in esposizione ad Aquileia opere d’arte provenienti dai musei e siti archeologici colpiti da attacchi terroristici.
Nel corso della giornata di studi il regista Tim Slade presenterà il suo pluripremiato documentario The Destruction of Memory, dedicato ai più efferati crimini recenti contro il patrimonio culturale dell’umanità.
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