La guerra tutti contro tutti che ha lasciato il segno in Carnia
elena commessatti“A volte, prima di addormentarci, io e le mie bambine cantiamo Stelutis Alpinis”, così scrive Gianni Barbacetto, penna illustre de “Il Fatto Quotidiano”, giornalista e scrittore, in...
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“A volte, prima di addormentarci, io e le mie bambine cantiamo Stelutis Alpinis”, così scrive Gianni Barbacetto, penna illustre de “Il Fatto Quotidiano”, giornalista e scrittore, in “Angeli terribili. Una storia di frontiere”, libro appena uscito per i tipi di Garzanti (Euro 16,60, pp.218) e che verrà presentato oggi a Pordenonelegge alle 15,30 da Tullio Avoledo al Capitol.
“Questo non è un libro di storia. È un libro di storie. In primo luogo della mia storia”. Così si legge in epigrafe. Ed è da un’epigrafe, meglio un epitaffio, che esisteva nel cimitero di Ravascletto (“Qui giace Cruchi /uomo iniquo e perverso /pregare per lui è tempo perso”) che parte l’accurata investigazione di Barbacetto attraverso le onde fluttuanti della “storia di frontiere”, qui a Nordest, in quel pezzo di mondo carico di dolore e memoria che è la Carnia.
L’autore, nato da genitori di Ravascletto ed emigrati a Milano, rivive la sua infanzia attraverso un racconto denso di ricordi, di nomignoli, di aneddoti magici. E il lettore si appropria di una narrazione capace di mescolare il grande e il piccolo, la voce dei perdenti e dei presunti vincitori, la fatica della conquista di una terra lacerata dalle invasioni: crudeli, strazianti anche nel ricordo.
Libro potente questo di Barbacetto, che finalmente giunge a dare a noi, di queste terre, la versione dei fatti qui avvenuti - e parliamo di monumenti della memoria come la Resistenza, Porzûs, le carneficine rosse e nere, la luce della Repubblica libera della Carnia, i Cosacchi, chiamati “mòngui”, e tanto, tantissimo altro, a margine di questo - e non pretende nulla, come spesso accade alla veemenza ideologica della molta bibliografia a riguardo, ma semplicemente racconta. Racconta, divaga e ritorna. Innesta storia personale nell’universale, commenta i cieli cristallini e metallici di questa meravigliosa natura che è la terra della Carnia, legge le carte, pazienta, analizza, e poi. E poi ascolta la voce della gente, quella che è rimasta, quella che ricorda (come la voce - indimenticabile- di Sergio De Infanti). E riflette.
Con sentimento e nostalgia senza retorica, con uno sguardo laterale di chi sa condurre lucidamente le inchieste. Ed è così che va questa seducente onda anomala della lingua di Barbacetto, che per citare i luoghi conserva i nomi della propria geografia. “Come li sentivo indicare da bambino”, ci dice. Ottima scelta autoriale, per questa lingua, il friulano, che è lingua del cuore e della memoria collettiva, e che per l’autore è il suono delle voci di zie e zii, di zia Tea e “Barbe” Lele. (Anche di quel sano desiderio di portarsi a Milano la sua madeleine: il salame affumicato sottovuoto, come non capirlo).
Ma chi era Cruchi, che è il punto, si fa per dire, di partenza di questa indagine, al secolo Amadio De Stalis e cosa aveva fatto per guadagnarsi la terribile lapide? Ma come, neppure una preghiera per lui? Ed ecco che Barbacetto scava dentro le relazioni della polizia, tra i testi storici, tra i memoriali politici e privati, per cercare la verità su questa strana figura di uomo condannato alla “damnatio memoriae”. Ma condannato da chi e perché? Da “Angeli terribili”; e come scrive, “tutto quello che c’è in questo libro è vero”. —
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