Lo stupro usato come un’arma: un dibattito che non ha mai fine
Dal codice di Hammurabi al caso Weinstein la violenza e l’abuso sessuale hanno macchiato la storia dell’umanità. Le bestialità dei singoli e quelle di gruppo
Andrea Zannini
Uomini accusati di fare violenza alle donne. Donne accusate di sedurre e approfittare di uomini. Anche l’abuso, sessuale, del corpo ha però una sua storia.
Per millenni la violenza sessuale – lo stupro – fatica a prendere forma giuridica. Alcuni tra i documenti più antichi, come il Codice Hammurabi, annoverano la violenza sessuale tra i reati, ma faticano a distinguere tra aggressore e vittima. Entrambi finiscono per essere omologati nel peccato di lussuria e poco importa se la seconda ha la sola colpa di non aver messo a repentaglio la propria vita per difendersi.
Spesso il risarcimento avviene nella forma pattizia, per esempio con la formula del “matrimonio riparatore”. La violenza sessuale, anche quella meno cruenta come l’estorsione del bacio, rientra allora nei complessi meccanismi sociali di formazione del matrimonio: una volta posseduta, o anche solo baciata, la donna, o più spesso la ragazzina, non può che accomodarsi a prendere in sposo lo stupratore, pena l’emarginazione dalla società.
Grossomodo vien da catalogare le violenze sessuali in due categorie, quella dell’atto compiuto dal singolo, per una sorta di incontinenza bestiale, e la violenza di gruppo.
Nella Francia del XV secolo, scrive Jean-Louis Flandrin ne “Il sesso e l’Occidente”, l’80% degli stupri conosciuti sono “pubblici”. Gruppi di giovani celibi cercano di notte la vittima a casa sua, la chiamano, la insultano, poi qualcuno sfonda la porta e tutti ne abusano, spesso per l’intera notte. Alla fine qualcuno mette in mano alla donna, il cui destino sociale è segnato per il resto della vita, un pugno di monete: il risarcimento che pone il branco al riparo dalla giustizia. Ma, ieri come oggi, gli stupri di cui si ha notizia sono una frazione minima di quelli perpetrati. Spesso la loro numerosità nelle carte giudiziarie segnala piuttosto un clima favorevole a denunciare l’aggressore: non a caso oggi il record di violenze sessuali per numero di abitanti è quello della Svezia.
La violenza sessuale compiuta dal gruppo è il più delle volte un rito di passaggio della virilità maschilista. Così sembrano, a esempio, le feste animal degli adolescenti americani di cui si è letto recentemente sui giornali, nelle quali la sola partecipazione delle ragazze è considerata una sorta di dichiarazione di assenso al rapporto sessuale. Un rito di passaggio è spesso anche la forma più tradizionale di stupro di gruppo, quella di guerra, nella quale le donne, o i ragazzini, costituiscono una parte del bottino del vincitore. Lo stupro è prova di virilità dell’universo maschilista guerriero. Per secoli i soldati si arruolano anche per copulare, almeno fino a che lo slogan pacifista “fate l’amore non fate la guerra” non segnala che per fare l’amore conviene piuttosto rimanere nelle ormai permissive comunità d’origine.
Stretto il rapporto tra violenza sessuale e prostituzione, e non solo perché chi ha subito violenza, e violenza risaputa pubblicamente, è predestinato a vendere il proprio corpo. Ma il legame più forte, soprattutto nelle società agricole, è quello con la miseria. Nell’infinita casistica tramandata dalle carte della storia ritorna costantemente l’abuso di povere e poveri, tra poveri e povere. Spesso è l’indigenza che porta i genitori a esporre i figli a lavori pericolosi, che li mettono a disposizione degli abusatori. E quando la soglia del bisogno si abbassa ancora, fino all’elemosina, si apre il baratro della pedofilia e dell’incesto.
Ma esiste, naturalmente, una violenza tipica dei ricchi. A esempio quella che la domestica, la serva, la schiava – e la loro declinazione maschile – subiscono dal padrone. “Sottomissione ancillare” la chiamano, abbellendola, gli storici, comprendendo anche le numerose violenze alle quali, anche nel relativamente benestante mondo artigiano delle corporazioni urbane dell’Europa medievale e moderna, i giovani garzoni sono costretti a sottostare. Laddove vi sono differenze e discriminazioni, lì si apre la faglia dello stupro.
Con la rivoluzione industriale le cose cominciano a cambiare. Certo, i quartieri degradati della Londra di fine Settecento sono il ricettacolo delle peggiori violenze, ma comincia a farsi strada per giovani uomini e per giovani donne la possibilità di avere una propria autonomia economica, abitativa e sessuale. Si apre la strada di una definizione legislativa dello stupro come atto intollerabile. Nasce allora un nuovo stereotipo, quella della donna indipendente che esprime liberamente la propria sessualità, rispetto alla quale la violenza rappresenta una sorta di punizione sociale: è la Mary Rogers del famoso racconto di Edgar Allan Poe, che ambientò il caso della giovane sigaraia americana, ritrovata morta e violentata nell’Hudson, a Parigi, mutando nome alla vittima.
Il fatto che oggi si discuta della presunta violenza di una donna su un uomo come qualcosa di reale, o ipoteticamente tale, è forse il segno che qualcosa, tra uomo e donna, sta ormai definitivamente cambiando? —
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