Udine rende omaggio a Piva l’artista che dialogava con Bacchelli e Montale
LICIO DAMIANIIn un incontro avvenuto a Roma, dal quale si originò una viva amicizia, il famoso scrittore Riccardo Bacchelli aveva definito Michele Piva “pittore di ali infrante”, aggiungendo in un...
LICIO DAMIANI
In un incontro avvenuto a Roma, dal quale si originò una viva amicizia, il famoso scrittore Riccardo Bacchelli aveva definito Michele Piva “pittore di ali infrante”, aggiungendo in un biglietto inviatogli il seguente distico: “Se di una eterna vita non è simbolo / anche la luce è immagine di morti”.
Per ricordare i cinque anni dalla scomparsa dell'artista friulano, morto ottantaduenne il 12 maggio 2013, la mostra di una selezione di sue opere scelte per alcuni dei temi più noti rimarrà aperta allo Spazio “Unicredit Città di Udine”, in via Vittorio Veneto, da domani, giovedì 15 alle 17.30,al 29 marzo 2019. Il primo capitolo della rassegna sarà dedicato, appunto alle grande “Ali” schizzate e incise con segno crudo sul candore del foglio, che tracciano voli liberatori dello spirito. Una scrittura leggera, frastagliata nelle grafiche, che si rassoda nell'ampia composizione di ferro ritagliato, piegato, dipinto, vibrante di remote tensioni epiche.
Ripiegano in una rarefatta interiorità le Impressioni, composte da irregolari riquadri astratti, alle quali Eugenio Montale dedicò una lirica che iniziava così: “Non chiederci parola che squadri da ogni lato / l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco / lo dichiari e risplenda come un croco / perduto in mezzo a un polveroso prato”. Versi che sembrano germinare dal segno pittorico, trasfigurandolo in una dimensione metafisica. Un gruppo di questi fogli era stato esposto anni fa all’Istituto italiano di cultura di New York in occasione di un convegno internazionale, al quale Piva era stato invitato, sul Nobel autore di Ossi di seppia.
A paesaggi atropomorfi accennano le melodie sussurrate dei “Nudi femminili” suggeriti da spezzoni di silhouettes dolci come golfi di luce, che ricordano poeticamente la semplicità essenziale, la bellezza lineare, dei nudi di donna anelanti nelle sculture di Henry Moore a farsi idea pura sublimata dall'astrazione. Nelle Prigioni costruite a perpendicolari fasce nere, echi di Hartung e dell’americano Franz Kline si trasformano in sostanza etica.
Nei “Soli meltallici”, infine, Piva rinnovò, remote mitologie orientali riguardanti il trionfo della luce sulle tenebre, rilesse la favola della fenice che riemerge dalle proprie ceneri e sembrò riecheggiare l’originale teologia solare del’imperatore Giuliano, sfortunato campione della restaurazione neoplatonica, che poneva il Sole quale anima dell’universo, principio di unità e di congiunzione di ciò che è frammentato, lacerato, diviso. Punto di partenza dal quale l’artista approdò a una visione cristologica nelle “Vie Crucis”; rese con segno ondeggiante, attorto, oppure ridotte a un coacervo scandito in forme d’austerità arcaica.
Il portamento distinto di signore d’altra epoca, la vena cordiale eppur riservata, rendevano Michele un personaggio atipico. Era autore appartato nel panorama friulano; operava in una posizione di aristocratico isolamento, staccato dai problemi teorici e formali delle avanguardie, con le quali tuttavia interferiva per suggestioni istintive. La sua solitaria ricerca nasceva da una profonda riflessione sulle tragedie e i rivolgimenti della storia con il loro carico di dolore e di speranza: una analisi poetica della contraddittoria condizione umana. —
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