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Toni Capuozzo rivive il ’68 in Friuli e festeggia coi lettori i suoi 70 anni

Il popolare reporter televisivo impegnato in un breve tour con i suoi ultimi libri Ieri all’Angolo della Musica a Udine, domenica a Palmanova dove parlerà dell’Isis

2 minuti di lettura

Toni Capuozzo reporter nel mondo, ma con il cuore sempre orientato al Friuli, dove è nato, è in questi giorni a casa per un ciclo di incontri nei quali propone il suo felice pamphlet “Andar per i luoghi del ’68”, ma non solo. Ieri era all’Angolo della Musica di via Aquileia a Udine, a rammemorare le band rock storiche del Sessantotto in città in compagnia di Rocco Burtone. Domenica, alle 15, sarà a Palmanova, la città dove è nato, per presentare un altro lavoro editoriale “La culla del terrore: l’odio in nome di Allah diventa Stato” (Signs Publishing). Ne parlerà con il disegnatore Armando Miron Polacco (autore delle illustrazioni del testo); modererà il vicedirettore del Messaggero Veneto, Paolo Mosanghini. Una presenza non casuale, questa di Capuozzo, dato che tra pochi giorni festeggerà, legittimamente in Friuli, i suoi 70 anni. Cosí ce lo racconta un suo compagno di liceo.

Andrea Valcic

La presentazione di “Andar per i luoghi del ‘68” equivale a salire sull’otto volante delle emozioni, dei ricordi, ma anche della riflessione critica. È quanto accade ogni qualvolta Toni racconta il perché di questa sua opera, «non voluta da me, ma richiesta dall’editore e scritta dietro precise garanzie di assoluta libertà», diversa sia da altre pubblicazioni uscite in occasione del cinquantenario di quegli eventi, sia rispetto alle tematiche di altri suoi lavori. In primo luogo c’è la scelta di luoghi fisici dove ritrovare la memoria e la storia di quella che possiamo definire una mappa della contestazione giovanile. Paesi, strade, scuole e case da dove emergono le figure di alcuni dei protagonisti di allora, spogliati in qualche modo dalla loro “essenza e “apparenza” di leader, ridimensionati da altri attori, ma anche situazioni, eventi, che non compaiono più sullo sfondo, da comprimari, ma s’impadroniscono della scena.

Il viaggio, lungo otto tappe, parte da Udine e passando per Venezia, Trento, Milano, Torino, la Toscana, Roma arriva in Sicilia. Da ognuna di queste stazioni Toni trae lo spunto per arrivare a quelle che non vogliono essere conclusioni, ma rappresentano il suo sentire sugli avvenimenti di allora. Innanzi tutto il tempo che ridimensiona le cose, «la bellezza della distanza» che dà il titolo alla prefazione, quando anche il lavatoio su cui giaceva il corpo senza vita di Che Guevara, così simile al Cristo del Mantegna, appare al cronista nella cruda realtà dell’oggi, come un «luogo piccolo, meno epico, più modesto, più vero di quanto avevo sognato per anni».

Ancora il tempo segna l’analisi del ’68 quando Capuozzo marca con forza la differenza tra la ribellione giovanile e i successivi anni dei gruppi extraparlamentari e poi della lotta armata. I cortei e la protesta studentesca, quel desiderio di libertà e utopia che potevi scorgere in ogni forma di dissenso, espresso nella musica, nell’abbigliamento, nei capelli lunghi, persino nelle pratiche religiose, e qui la citazione della “Messa beat” è doverosa, troppo divergevano da chi avrebbe scelto l’eskimo come divisa.

Non è dunque un caso se, tra le figure che compaiono nel libro, la simpatia maggiore, «ma l’affetto rimane per tutti, compresi quelli di cui oggi non condivido opinioni e prese di posizioni» vada a Mauro Rostagno, uno dei leader di Lotta Continua, fondatore di una comunità per il recupero dei tossicodipendenti, nei pressi di Trapani, collaboratore di una tv locale e ucciso dalla mafia per le sue denunce contro la malavita organizzata. Scrive Toni: «Proprio per questa sua vita poco ortodossa, per queste continue contaminazioni di culture e impegni, è quello che meglio simboleggia i lati migliori del ‘68».

E i peggiori? Quelli di cui pentirsi o vergognarsi? Spesso affiorano durante le presentazioni del libro, nelle domande del pubblico e Toni non si tira indietro spesso “pescando” nella propria esperienza personale le risposte. Ma il concetto è chiaro: «Ha senso – scrive – chiedersi se, al netto degli anni di piombo, è stata un’eredità felice, se l’egualitarismo, il rifiuto della selezione e del merito, la prepotenza della cultura dei diritti su quella dei doveri, hanno migliorato la nostra vita? È stato, è andata così, c’era qualcosa di prezioso e qualcosa di donchisciottesco, come sempre e ovunque».

Un capitolo – il primo – è dedicato a Udine. Sono pagine senza retorica a ricordare come i fatti di cui siamo stati protagonisti possano essere rivissuti con quella serenità che il passare del tempo ci regala, con la consapevolezza che restano pagine della storia, anche se piccola, ma sempre nostra. —



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