In Fvg porte chiuse a sinistra all’alleanza con il Pd
La creazione di una coalizione larga per il 2018 ha le sembianze di un miraggio. Serracchiani risponde al centrodestra: «Noi non aspettiamo Roma o Arcore»
UDINE. Il giorno dopo l’annuncio dell’addio di Debora Serracchiani e della (quasi) investitura di Sergio Bolzonello le distanze tra Pd e quel mondo a sinistra che ruota attorno a Mdp, Si e Possibile restano siderali.
In campo – o meglio sui social network – c’è innanzitutto ancora la presidente che ieri ha voluto rispondere agli attacchi del centrodestra, ma non – e politicamente non pare un caso – a quelli ricevuti anche dagli ex compagni di viaggio bersaniani e dal resto del mondo a sinistra. «Quando ho annunciato la mia scelta avevo messo in conto le critiche delle forze di opposizione – ha scritto Serracchiani su Facebook –. È la politica, me lo aspettavo. Nelle reazioni c’è però qualcosa che va oltre: è il livore delle parole. Si evocano mostri, caos, fallimenti, si fanno paragoni con Schettino.
Insomma, l’attacco personale a prescindere. Non so se al centrodestra risulti più indigesto essere governati da una donna oppure da una che continuano ad accusare di essere straniera. So che posso essere orgogliosa di appartenere a una comunità che sa esprimere affetto e stima, e che soprattutto ha l’autonomia per scegliere qui, in Fvg, il suo futuro. Senza bisogno di andare con il cappello in mano ad Arcore o a Roma».
Una sferzata al centrodestra che, come noto, aspetta indicazioni dal “centro” per sbrogliare la matassa del candidato presidente della coalizione. Ma, come accennato, nella replica della presidente non vengono menzionati gli attacchi – che pure ci sono stati e non sono stati leggeri nei toni e nei modi – da sinistra, quasi a voler lasciare aperta, al suo successore, la porta di un’alleanza con Mdp e compagnia varia. Lo stesso, in fondo, aveva fatto domenica Bolzonello invitando i bersaniani a ripartire «dai valori che ci accomunano».
Una mano tesa che però, almeno al momento, non trova a sinistra nessuno disposto a stringerla. Marco Duriavig, ad esempio, ha chiuso immediatamente le porte a poche ore dall’annuncio di Serracchiani e lo stesso ha fatto Carlo Pegorer ribadendolo anche ieri. «Non è cambiato nulla – ha detto il senatore di Mdp –: a oggi non ci sono le condizioni per un’alleanza con il Pd».
Il compito che attende Bolzonello, dunque, è davvero impervio e non per niente il vicepresidente, che attende la fine della fase per la raccolta firme per le primarie con l’Assemblea per la sua eventuale investitura già fissata a lunedì 27, ha già in testa un suo schema di base da cui partire per tessere un’alleanza. Un disegno che, in nome della concretezza, è in fondo lo stesso della maggioranza del partito.
L’intenzione, infatti, è quella di ripartire da una coalizione formata prima di tutto dai Cittadini (anche se bisogna vincere qualche resistenza legata alla posizione di Bruno Malattia), da una civica del presidente e da un blocco a sinistra del Pd. La speranza, tanto a Roma quanto a Trieste, è che questo possa portare il nome e il simbolo di Campo progressista, ma nel caso in cui nel movimento di Giuliano Pisapia dovesse avere la meglio la corrente di pensiero di Laura Boldrini, che non vuole l’alleanza, si troverà comunque una soluzione – e un nome alla lista – per fare correre in coalizione i vari Furio Honsell, Giulio Lauri e Alessio Gratton.
E il resto? Non è un mistero che Mdp – lo si è notato anche ieri all’inaugurazione dell’anno accademico – potrebbe allearsi con il Pd soltanto se il candidato presidente fosse Alberto Felice De Toni, ma la pista che porta al rettore di Udine, dopo l’Assemblea dem di domenica, assomiglia ormai a un mini-sentiero stretto considerato come all’interno del mondo democratico anche il senatore Francesco Russo paia aver rinunciato ad aprire un conflitto interno per, essenzialmente, mancanza di truppe al seguito e pure di un possibile fantino da fare correre visto anche – l’attuale e al netto di sorprese – «no grazie» di Franco Iacop alle primarie.
Una situazione che se non dovesse mutare “costringerebbe” la sinistra a presentarsi alle Regionali con una propria lista unitaria e correlato candidato presidente. Cercando, inoltre, di tagliare un traguardo non semplice e cioè varcare la soglia di sbarramento del 4% per chi non si presenta in coalizione. Asticella forse non impossibile da superare, ma certamente alta e che, tra l’altro, senza il correlato premio di maggioranza – di cui ha beneficiato ad esempio Sel nel 2013 con il suo 4,45% pari a 17 mila 700 voti – significherebbe mandare i propri eletti nel Misto visto che quella quota, da non vincitori, vale al massimo un paio di consiglieri.
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