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«Faccio io il presidente» e tira fuori la pistola

A processo il bengalese che al centro islamico di via della Rosta ha minacciato i vertici dell’associazione “I pacifici di Udine”

di Alessandra Ceschia
2 minuti di lettura

UDINE. Voleva diventare il presidente dell’associazione bengalese “I pacifici di Udine” e, per essere più convincente, si è presentato al centro islamico appena inaugurato dal sodalizio in via della Rosta mostrando una pistola e minacciando i componenti del direttivo.

Queste le accuse mosse a Islam Rafikul, 34enne residente a Udine, a giudizio per minacce nei confronti di tre connazionali nel processo che ha preso il via ieri con l’audizione dei testi al tribunale di Udine dinanzi al giudice Paola Turri. La vicenda risale al novembre 2015. A quel tempo Rafikul era un riferimento per l’intera comunità del Bangladesh residente a Udine e come tale richiedeva di essere interpellato sulle decisioni importanti.

Eppure era stato escluso dalla scelta di aprire il centro culturale islamico di via della Rosta. L’inaugurazione del centro ha inevitabilmente causato tensioni all’interno della comunità bengalese, mettendo in discussione le consolidate posizioni sociali dei suoi componenti, in primis quella di Islam Rafikul. Quest’ultimo, è la tesi dell’accusa rappresentata dal pm Alessandra D’Aversa, contava di ridefinire il direttivo dell’associazione “I pacifici di Udine” e di guadagnarne la presidenza.

Per questo convocò un incontro del direttivo per il 7 novembre 2015, ma giunto alla moschea si accorse che il suo invito era stato disatteso e andò su tutte le furie. Secondo quando dichiarato da Shahdat Hossain, portavoce del centro, da Almash Mohammed e Sagar Islam (assistiti dall’avvocato Federico Artico per la costituzione come parte civile) Rafikul si è rivolto agli ultimi due dicendo loro «Io vedi con cosa sto girando? Non lascerò pace a nessuno dei miei nemici».

Stando a quanto contestato dall’accusa, poi, l’uomo avrebbe fatto loro intravedere un oggetto (apparentemente la canna di una pistola) che teneva nella tasca interna della giacca. E ancora, fra le accuse formulate dalla pubblica accusa nei confronti di Rafikul c’è quella di aver telefonato una settimana più tardi a Hossain Shahdat, portavoce del centro, minacciandolo di sparargli con la pistola che aveva portato al centro islamico e aggiungendo che lo avrebbe accoltellato ovunque lo avesse trovato.

Sensibilmente diversa la versione fornita dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Alessandro Campi. «Per un ventennio il mio assistito è stato presidente dell’associazione Bangladesh per l’Italia, cui improvvisamente si è contrapposta quella de “I pacifici di Udine” – spiega il legale –. La sua richiesta non era quella di diventare presidente del nuovo sodalizio, quanto di ottenere informazioni legate alla sicurezza all’interno della comunità. Una discussione di certo c’è stata – ammette il legale – ma non nei termini contestati dall’accusa. Quanto alla presunta arma, va precisato che non è mai stata ritrovata. Nel frattempo, le posizioni si sono ammorbidite e oggi le due associazioni riescono a convivere».

Martedì 21 novembre sono stati ascoltati i primi testi; si tornerà in aula il 14 febbraio.

©RIPRODUZIONE RISERVATA
 

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