Quelle “fake news” che imperversavano nella Grande Guerra
I lettori alla scoperta della mostra “L’offensiva di carta”: una sala sulle notizie false lanciate per manipolare i soldati
di Davide VicedominiUDINE. Per molti è stata «una piacevole sorpresa», per altri «una scoperta sensazionale». Per una trentina di membri della community “Noi Mv” si sono spalancate le porte dei Civici Musei di Udine che ospitano la mostra “L’offensiva di carta”. I curatori Luca Giuliani e Anna Villari hanno portato i lettori alla scoperta del fondo Luxardo, che raccoglie 1.800 opuscoli, 300 periodici in 19 lingue da 35 Paesi e 5.600 stampati raccolti dal medico di San Daniele Augusto Luxardo e risalenti alla Prima guerra mondiale. Un’occasione ghiotta per avvicinare ancora una volta il pubblico del quotidiano al territorio grazie alla collaborazione dell’assessorato alla cultura di Udine.
NoiMv, i lettori alla scoperta della mostra "L'offensiva di carta"/ 1
In dieci sale, in gran parte allestite al terzo piano, si sviluppa l’esposizione che «vuole superare Caporetto proprio nel centenario del conflitto – ha spiegato Luca Giuliani – e capire cosa nacque dopo la disfatta». “L’offensiva di carta”, già visitata da 14.100 persone dal 31 marzo a oggi – la chiusura della mostra è prevista per il 7 gennaio, mentre il 5 gennaio ai Civici Musei alle 18 verrà presentato al pubblico il catalogo – si è rivelata per i lettori «un gioiellino di cultura inaspettato» e «un’impressionante fonte di conoscenza di un’epoca ancora poco studiata soprattutto dalle giovani generazioni».
In tre anni il materiale è stato catalogato dal Comune e digitalizzato. Dalle riviste e dai mezzi di propaganda esposti si ha la netta sensazione del carattere planetario del conflitto. Ma soprattutto vi sono contenute tutte le riviste di trincea dell’esercito italiano “che rendono la collezione unica in tutta Europa”, come ha rimarcato il curatore della mostra.
NoiMv, i lettori alla scoperta della mostra "L'offensiva di carta"/ 2
I numeri che segnano l’epoca dopo la disfatta di Caporetto sono impressionanti. Si parla di 52 milioni di stampati nell’arco di un mese dall’esercito italiano. Le riviste alla fine della guerra sono oltre un centinaio e le tirature arrivano ai sessantamila pezzi settimanali. «Il paese reagisce a questa disfatta con la propaganda che gioca sulla psicologia del popolo – ha sottolineato Giuliani –. Gli intellettuali interventisti che si erano prodigati per far entrare l’Italia in guerra vengono inseriti nelle redazioni in ogni compagnia dell’esercito. Recuperano informazioni e fanno propaganda attraverso le riviste di trincea che prima erano quasi del tutto inesistenti, utili solo per reperire fondi economici». C’è un ostacolo però. La maggioranza delle truppe è analfabeta e la propaganda rischia di essere invisa. Le riviste cominciano così a presentarsi in un’altra forma. Vengono arruolati anche umoristi e illustratori. Nascono le rubriche, i giochi a premi, i vocabolari di trincea, le pagine del lettore «per tenere vivo il soldato e muovere l’intelletto». Ci sono nomi del calibro di Gaetano Salvemini, Gioacchino Volpi e Piero Calamandrei. Ma è in questo scenario che si affaccia anche Benito Mussolini, che comincerà a costruire il proprio consenso. «La guerra delle immagini e delle parole – ha sottolineato l’assessore alla cultura Federico Pirone, presente alla visita – diventa ancora più rilevante di quella combattuta al fronte».
La propaganda raccontata nelle dieci sale getta uno sguardo anche sull’Impero centrale dove le parole dominano sui fumetti e dove, alla vigilia del tracollo, emergono le prime Fake News. Un’intera sala, la penultima, è dedicata alle notizie false che circolavano per manipolare le menti dei soldati.
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