24 marzo 2018 - 21:52

Salvini: «Siamo noi la colla della coalizione». E guarda al Quirinale |Berlusconi: «Ora rispetti i patti»

Il Carroccio: «Se avessimo rotto con Berlusconi, i suoi media ci avrebbero attaccato quotidianamente»

di Marco Cremonesi

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ROMA — La giornata, per Matteo Salvini, è radiosa. Palazzo Madama ha appena incoronato Maria Elisabetta Casellati. Pochi minuti dopo, lui commenta con i suoi senatori: «Questa non è la Lega che rompe e che alza la voce». Anzi: «Noi siamo stati la colla che ha riunito il centrodestra sul buonsenso. E un centrodestra saldo, credo che sia un buon punto di partenza anche per il capo dello Stato».

Certo, i numeri e la strada per la costruzione di un governo sembrano ancora lontani. E in Lega nessuno se lo nasconde. Anche se, riferiscono i salviniani, secondo il leader «nell’ottica del Quirinale il centrodestra è il primo interlocutore». Senza contare che per la Lega le difficoltà di un rapporto esclusivo con i 5 stelle — in posizione subalterna — si allontanano: «Un conto è Lega con i 5 stelle. Un altro, il centrodestra con i grillini».

In realtà, Salvini ragiona per tappe. E pare contento allo stesso modo per i voti delle Camere quanto della designazione del fedelissimo Massimiliano Fedriga alla candidatura per il Friuli Venezia Giulia. La mappa delle regioni del Nord ridipinta con il blu salviniano — Lombardia, Veneto, Friuli con la Liguria di un governatore azzurro assai amico come Giovanni Toti — assegna al capo leghista una centralità difficile da ignorare. E non c’è soltanto il Friuli: alle urne va anche il Molise e salvini ci arriverà già mercoledì: «Il voto del centro e del sud è la mia soddisfazione più grande».

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La notte era stata lunga. Venerdì le trattative telefoniche sulla linea con Palazzo Grazioli erano state sospese soltanto alle tre del mattino. Su una cosa Salvini era stato irremovibile: non sarebbe andato in serata nella residenza di Silvio Berlusconi. Il no a che tutto si consumi, una volta di più, a Palazzo Grazioli, dal punto di vista leghista, sembra aver pagato. Quando al mattino Salvini e il suo vice Giancarlo Giorgetti arrivano a casa del Cavaliere, trovano i forzisti in grande agitazione. Ma tanto per far capire che la Lega andrà fino in fondo, i suoi capi fanno subito presente — raccontano nel partito — che «non si può trattare sulla presidenza del Senato in presenza di un candidato presidente». Un taglia fuori deciso per Paolo Romani, il candidato che i 5 stelle non vogliono.

Nella lettura leghista è «un segnale forte di affidabilità nei rapporti con gli stellati. Ma, allo stesso tempo, anche di compattezza del centrodestra nei loro confronti». Il valore aggiunto, ragiona un senatore, è che il voto «ha anche fatto perdere per la prima volta l’illibatezza stellata sulla diversità dagli altri partiti: alla fine, al Senato hanno votato un’ultrà berlusconiana».

Fatto sta che intorno alle dieci e mezza arriva l’annuncio dell’unità ritrovata nel centrodestra. In Lega, il valore della giornata è considerato incalcolabile: «Hanno continuato a considerare Salvini un politico buono per i comizi o per le apparizioni in tivù. Ora si sono accorti che da queste parti si fa politica» esulta un altro senatore. In più, il voto disinnesca una preoccupazione che in Lega era assai presente: «Una rottura con il centrodestra avrebbe significato farci massacrare quotidianamente sui media dei Cavaliere».

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