Milano, 3 dicembre 2017 - 07:10

Milano, Gori gioca la carta identitaria «Antifascismo e sinistra unita»

L’evento organizzato dal Pd per costruire il programma elettorale di Giorgio Gori per il voto. Sala e Orlando al laboratorio pd. «Stop alla destra lepenista»

shadow

Il pericolo del neofascismo di ritorno e l’appello all’unità della sinistra. Se c’è un filo rosso che ha segnato Lombardia Domani, l’evento organizzato dal Pd per costruire il programma elettorale di Giorgio Gori per le regionali, è proprio questo: l’antifascismo come ritorno al valore fondante e identitario del centrosinistra con il conseguente appello a chi è rimasto fuori dalla coalizione (leggi Mdp) per battere la «destra lepenista e fascista» (copyright del ministro Andrea Orlando). Il primo ad aprire le danze è il sindaco, Beppe Sala. «In città ci sono segni che il mondo neonazista e neofascista si sta rafforzando e sta entrando nelle fasce più deboli. Senza drammatizzare, credo che la situazione sia grave». Annuncia che se possibile parteciperà alla manifestazione antifascista organizzata per il 9 dicembre a Como, dopo il blitz di alcuni skinhead all’incontro di un’associazione pro migranti. E chiede le dimissioni di Stefano Pavesi, consigliere di Municipio 8 in forza alla Lega Nord e militante di Lealtà e Azione: «Mi ricordo quello successo in campagna elettorale per Pavesi. Lo avevamo detto. Adesso si legge sui quotidiani che è accusato di bagarinaggio.

Non vanno fatti entrare nelle liste e bisogna stigmatizzare certe candidature, da una parte e dell’altra. Era chiarissimo la situazione di Pavesi. Nei fatti è così. Siede ancora in municipio e continua a chiedere che mi dimetta. Si dimetta lui». Come in un copione già scritto tocca al ministro Andrea Orlando suonare il secondo accordo: «Sono pericolosi gli skinheads ma anche quelli che fanno finta di non vederli (ogni riferimento alla Lega è puramente voluto, ndr). Questo voto delle regionali è anche una battaglia per evitare che fatti come quelli di Como diventino frequenti in questo Paese». Lo ripete il segretario del Pd milanese, Pietro Bussolati: «Chi guida la nostra Regione oggi ha il sostegno di un partito che di moderato non ha nulla, un partito che presta il fianco a una politica lepenista e sovranista, che lascia spazio all’odio. La scelta è tra noi e loro».

È solo il primo atto. Ma necessario per arrivare alla conclusione. Lo dice Giorgio Gori che alla domanda se ritiene chiusa la partita con gli scissionisti di Mdp risponde con un sonoro «no». «Sono molto testardo e ci tengo a questa cosa, vorrei che Mdp fosse presto con noi. In Lombardia non c’è come ha detto Bersani un secondo tempo. Qui o si vince tutti insieme, o si sta all’opposizione per altri cinque anni e si fa vincere il partito di Salvini. Questa responsabilità politica è condivisa da tutti noi, credo che in fondo nel cuore anche dagli amici di Mdp. Si tratta di fare un passo e capire che la Lombardia proprio perché ha regole diverse merita scelte differenti rispetto a quelle che purtroppo pare stiano maturando a livello nazionale». Lo dice in un altro modo Orlando, ma la sostanza è la stessa: «Se c’è un posto nel quale risulta incomprensibile la scelta di alcune forze di non partecipare alla coalizione di centrosinistra, è la Lombardia. Qui non ci sono i mille giorni di Governo, tutto questo in una realtà in cui sei all’opposizione, in cui la destra ha caratteristiche lepeniste, non capisco come si possa spiegare». Conclusione: «Dobbiamo fare una battaglia per l’unità, anche per quelli che l’unità non l’hanno voluta. La sfida è battere una destra lepenista e fascista, e Gori è la persona migliore per vincerla».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT