Milano, 10 novembre 2017 - 20:19

Milano, 1913: la morte misteriosa di Rosetta, la bella della ligéra

Elvira Andrezzi non aveva ancora 18 anni, si prostituiva ma sognava di riscattarsi dal mondo della malavita come «canzonettista». Sulla sua fine nacque la canzone popolare cantata anche da Nanni Svampa. La storia della foto ritrovata

Piazza Vetra oggi (foto Stefano Porta/LaPresse) e, nel riquadro, il ritratto di Rosetta ritrovato in un cassetto Piazza Vetra oggi (foto Stefano Porta/LaPresse) e, nel riquadro, il ritratto di Rosetta ritrovato in un cassetto
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In largo Carrobbio, dove finisce il centro storico e comincia il quartiere Ticinese, ferveva la vita notturna agli inizi del Novecento, proprio come oggi, anzi forse di più. Non passava giorno che quella zona finisse nella cronaca nera cittadina. Proprio come avvenne il 27 agosto 1913, quando il Corriere della sera e gli altri quotidiani milanesi riportarono la notizia del suicidio di una giovane «canzonettista» che la notte tra il 26 e il 27, verso le 2, era stata fermata con un’amica e quattro uomini con cui si intratteneva in una carrozza. Sembra che il gruppo, piuttosto allegro e in vena di baldoria, non volesse obbedire agli ordini della polizia di sgombrare, tanto che fu necessario l’uso della forza. Colpita da una bastonata della polizia, la ragazza avrebbe ingerito delle pillole di sublimato corrosivo durante il trasporto all’ospedale Maggiore, dove morì alle 11.30 del 27.

Questa la prima versione dei fatti, che non risultò essere quella veritiera. La povera vittima si chiamava Elvira Andrezzi, avrebbe compiuto 18 anni il 1° settembre, ma era conosciuta con il nome di Rosetta. Di una bellezza intensa e sensuale, la povera Rosetta stava cercando di riscattarsi dall’ambiente malavitoso in cui era nata. In marzo aveva calcato le scene del teatro San Martino, in piazza Beccaria, probabilmente l’attuale Gerolamo, dove si era esibita con successo in un brano scritto appositamente per lei dal poeta Marco Ramperti e musicato dal maestro Mignone: si intitolava Scarliga, che in dialetto milanese vuol dire «scivola». Si era esibita con il nome d’arte di Rosetta di Woltery e secondo la Gazzetta degli spettacoli del 15 aprile 1913 il successo si era ripetuto anche al teatro Margherita di Roma. Presto sarebbe andata in tournée a Genova e in altri teatri.

Ma Rosetta non aveva ancora saputo dare un taglio netto con gli ambienti della prostituzione e della ligéra, come si chiamava la mala milanese. Il suo paroliere Ramperti scrisse che era «corteggiata da milionari e amante di teppisti». Comunque, i fatti quella sera del 26 agosto non andarono come avevano riportato i giornali sulla base dell’informativa di polizia. A fornire una versione più veritiera di quella storia tragica fu una tempestiva inchiesta dell’Avanti!, allora diretto da Benito Mussolini. I cronisti del quotidiano socialista tornarono al Carrobbio il giorno dopo e ricostruirono i fatti secondo le tante testimonianze dei passanti o degli abitanti che si erano affacciati alle finestre.

Sembra che Rosetta e i suoi amici non stessero cantando ma effettivamente non volessero lasciare largo il Carrobbio. I due agenti che avevano dato l’ordine di sgombrare chiesero allora l’aiuto di una pattuglia di venti poliziotti che stazionava nella vicina via Torino. Vennero usate le maniere forti e le daghe (i manganelli) in dotazione: Rosetta aveva preso una «piattonata» che l’aveva fatta svenire. Accompagnata verso via Vetraschi, dove abitava la sorella e dove aveva incontrato un fratello che faceva il facchino e stava andando al mercato del Verziere, la povera ragazza era stata picchiata una seconda volta ed era ancora svenuta. Fu allora trasportata in largo Carrobbio e, probabilmente, mentre i poliziotti discutevano se trasferirla in questura o ricoverarla all’ospedale, Rosetta aveva ingerito le pastiglie di sublimato per fingere il suicidio ed evitare l’arresto. Secondo il registro di ricovero riportato dall’Avanti!, «Elvira Andressi (sic) di anni 19, abitante in via Gaudenzio Ferrari 7, a scopo suicida ingoiava 3 pastiglie di sublimato corrosivo (?). Lei dice perché arrestata».

Che cosa voleva dire quel punto interrogativo? Secondo l’Avanti! Rosetta non aveva ingerito le pillole, tanto che non era stata trovata traccia del veleno «nel lavaggio gastrico immediatamente praticato». Probabilmente la ragazza era morta per le conseguenze delle percosse. Perché, chiedeva il cronista del giornale socialista, alla sorella Maria che era andata a visitarla non era stato dato il permesso di vedere in quali condizioni era il corpo di Rosetta? Aveva potuto soltanto notare una grossa ecchimosi a un braccio. «Mi hanno ammazzata», sussurrò Elvira alla sorella maggiore.

Alla versione della polizia non credeva più nessuno. Per la morte della povera Rosetta fu aperta un’inchiesta. Durante l’indagine vennero fuori tutti i precedenti una vita breve ma turbolenta: le risse in una trattoria con una prostituta detta «la contessa», il processo per la rapina della gioielleria Archenti di piazza del Duomo. L’autore del furto, riconosciuto colpevole, era un amante di Rosetta, Attilio Orlandi, detto buterin, piccolo burro. Ma la ragazza fu assolta. Durante l’inchiesta venne fuori anche il nome di un agente di polizia, Mario Musti, già protagonista nelle indagini sulla rapina. Lo stesso Musti che assieme a un altro agente, Antonio Santovito, fermò e accompagnò Rosetta in ospedale quella sera tragica.

Secondo alcune dicerie l’agente di origini calabresi si sarebbe invaghito, non corrisposto, della bella canzonettista, e perciò avrebbe preso a perseguitarla. Dal processo sulla morte di Rosetta che si concluse nel febbraio 1915 Musti fu assolto per non aver commesso il fatto e Santovito per insufficienza di prove. Lo stesso referto ospedaliero confermò la morte per avvelenamento. Una verità ufficiale cui gli otto fratelli e sorelle di Rosetta, i genitori e tutto il popolo del Ticinese non credette mai.

Al punto che Rosetta divenne un personaggio della mitologia popolare, tramandataci attraverso la canzone Povera Rosetta che è stata cantata da tanti interpreti con alcune varianti e imprecisioni. Secondo la versione di Milly «il 26 d’agosto in una notte scura hanno trovato un corpo la squadra di questura». Nanni Svampa e I Gufi sbagliarono giorno e cantarono «Il 13 di agosto in una notte scura commisero un delitto gli agenti di questura». Era questa una versione più colpevolista e accusatoria, tanto che tirava in ballo anche il presunto colpevole: «O guardia calabrese per te sarà finita perché te l’ha giurata tutta la malavita». Le due versioni, composte sulle note di una canzone militare, si possono facilmente ascoltare su YouTube.

Della povera Rosetta si occupò anche Leonardo Sciascia, in coda a una ricerca sulla Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni. La colonna infame sorgeva in via Gian Giacomo Mora, non lontana dal Carrobbio. E ad essa secondo alcuni si riferiva la canzone quando, alludendo al mestiere di prostituta, dice «battea la colonnetta». In realtà la colonnetta di cui parla la canzone è con tutta probabilità la colonna intitolata a San Lazzaro che sorgeva in piazza Vetra. Colonna a parte, il saggio di Sciascia Storia della povera Rosetta, pubblicato in tiratura limitata nel 1983 con illustrazioni di Franco Rognoni per le edizioni d’arte di Franco Sciarelli, restituisce dignità e verità a un personaggio popolare di una Milano che non c’è più. Interprete di questa Milano d’antan era anche Luciano Visintin, l’indimenticato cronista del Corriere della sera che il 25 febbraio 1980, grazie all’aiuto degli eredi, scovò tra le carte di Guido Forcolin, un commerciante di calze di via Torino, una foto della bella Rosetta. Dietro Guido aveva annotato romanticamente: «Rosetta, mi hai dato le più belle notti d’amore della mia vita».

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