Milano, 18 novembre 2017 - 11:22

La band brasiliana dei Selton sold out al Santeria: «Ci ha ispirati Jannacci»

Tutto esaurito per il quartetto che ha da poco pubblicato l’ultimo album «Manifesto Tropicale». L’appuntamento anticipa la settimana che da lunedì trasforma Milano in capitale della musica

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Se l’inaugurazione ufficiale della Music Week spetta lunedì sera a Niccolò Fabi, con uno show in cui ripercorrerà vent’anni di carriera, protagonisti dell’anteprima alla fitta rassegna ci sono i Selton, il quartetto di origini brasiliane che sta per festeggiare dieci anni dal proprio arrivo a Milano e che ha da poco pubblicato l’ultimo album, «Manifesto Tropicale», uscito per Universal Music lo scorso primo settembre. Il tour invernale passa stasera dal Santeria Social Club, già sold out, e segna un nuovo step per i ragazzi nati e cresciuti a Porto Alegre, nel sud del Brasile, dove la musica più popolare non è tanto la samba, quanto il rock. «Abbiamo lavorato moltissimo per creare un live che “spacchi”, visivamente molto più elaborato dei precedenti», spiega Ramiro Levy, voce e chitarra. «Eseguiremo pezzi vecchi che non suoniamo da tempo e porteremo sul palco molte novità», il tutto con la carica di energia a cui hanno ormai abituato i loro spettatori.

Le canzoni di questa band nata quasi per caso a Barcellona nel 2005, suonando cover dei Beatles a Parc Guell, giocano da sempre tra lingua italiana, inglese e portoghese. «Il primo contatto con la musica, quando siamo arrivati in Italia, è stato con Jannacci, Cochi e Renato, e ci ha segnato molto, anche a livello inconscio». Il lavoro artistico dei Selton è un percorso parallelo alla ricerca di identità maturata in questi anni, mentre riscoprivano, grazie alla distanza, la propria «brasilianità» e insieme la contaminavano. «È la nostra grande forza. Dall’album “Saudade” in poi abbiamo cominciato a cercare una sintesi tra lingue e culture: dopo “Loreto Paradiso”, “Manifesto Tropicale” è l’espressione più forte di questa sintesi, il nostro manifesto, quello che contiene più pezzi in italiano, ma che è anche il più brasiliano».

Il disco prende il titolo dal «Manifesto Antropofago» del fondatore del modernismo brasiliano Oswald de Andrade, datato 1928, e in questo sincretismo di ritmi e riferimenti cerca di parlare a una generazione che si trova oggi a confrontarsi con le grandi migrazioni, facendo a riflettere anche sul momento storico che stiamo vivendo. «L’Europa», spiega Ramiro, «non ha mai subito tanto come oggi l’influenza delle altre culture, mentre prima il procedimento si svolgeva in senso opposto. E se noi abbiamo scelto di migrare qui per una ragione, ci sono migliaia di altre persone che sono oggi costrette a spostarsi per motivi più gravi». Non ultimo, suona come un inno a non rinunciare ai propri sogni, «che sono molto più potenti se sappiamo guardarli come possibili e non utopie».

E a proposito dell’amore? «Quando parliamo di relazioni», continua Ramito Levy, «ci concentriamo sempre sul momento della perdita: tutti i nostri pezzi d’amore raccontano soltanto di storie finite. Nel brano “Bem Devagar” si parla sì di un nuovo incontro e di riscoprire qualcuno, ma il tema centrale rimane comunque la solitudine. Ho sempre ammirato chi riesce a scrivere d’amore senza essere banale o noioso».

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