Il sostituto procuratore generale di Milano Daniela Meliota ha chiesto la conferma delle condanne per l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede e per l’ex consigliera lombarda Nicole Minetti, rispettivamente a 4 anni e 10 mesi e a 3 anni di reclusione, nel processo d’appello «bis» sul caso «Ruby bis» con al centro l’accusa di favoreggiamento della prostituzione per le serate nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore. Procedimento scaturito dalla decisione della Cassazione di rinviare ad un nuovo appello per colmare alcune «lacune motivazionali» della sentenza di secondo grado. Il pg nell’intervento, oltre a chiedere di respingere una questione di illegittimità costituzionale del reato di favoreggiamento della prostituzione presentata dalle difese, ha spiegato che Fede (accusato anche di tentata induzione) favorendo la prostituzione per l’ex Cavaliere voleva «guadagnarci» in termini economici e di «posizione» e aveva il compito di portare «merce nuova» a villa San Martino. Minetti, invece, aveva il ruolo «fondamentale» di fornire «abitazioni» alle ragazze.
Le ragazze portate ad Arcore servivano «per far stare tranquillo e mettere di buon umore Silvio Berlusconi e Fede aveva il ben preciso scopo di farle prostituire per mantenere la sua posizione di direttore del tg4 e l’autorevolezza e i guadagni che ne derivavano». È un passaggio della requisitoria. Nel primo processo d’appello, era caduta l’accusa più grave, quella di avere favorito la prostituzione dell’allora 17enne Ruby, ed era rimasta per i due imputati l’accusa di favoreggiamento della prostituzione delle ragazze maggiorenni e, per il solo Fede, quella del tentativo di indurre alla prostituzione altre tre giovani che avevano detto «no» (Chiara Danese, Ambra Battilana, Imane Fadil, parti civili). Il pg ha cominciato il suo intervento producendo i due decreti che hanno disposto il giudizio per Silvio Berlusconi, assolto in via definitiva nel primo processo Ruby, e per altre ospiti ad Arcore. Ha quindi chiesto alla Corte di rigettare l’eccezione di costituzionalità sul reato di favoreggiamento, già respinto dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Bari nel caso con al centro la figura di Giampaolo Tarantini, uno dei presunti reclutatori delle ragazze.