2 gennaio 2018 - 09:00

Milano: «Quando Porta Romana era un paese», il tabaccaio diventa bistrot

Si chiamerà Magüterie — dopo la ristrutturazione — il bar tabacchi all’angolo tra via Muratori e via Vasari. Nelle mani della stessa famiglia per quattro generazioni, ora si rinnova ricordando il passato

Amarcord. Il Moka bar, poi Bar Bisa, è nato negli anni Venti Amarcord. Il Moka bar, poi Bar Bisa, è nato negli anni Venti
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Quando il Gino soprannominato Tabacch vendeva le Esportazioni sciolte, questo spicchio di Milano era un avamposto d’angolo, all’incrocio tra via Muratori e via Vasari, in un quartiere di operai, magütt (muratori) e fabbrichette all’ombra del Duomo. Metà anni Venti, quelli di Mussolini, della transvolata dell’Atlantico di Lindbergh, della nascita del cinema sonoro, del primo cortometraggio Disney e del Moka Bar, aperto dall’ex carabiniere Carlo cui succede Gino che lo passa a Ernestina detta Tina che lo lascia a Walter, terminale di quattro generazioni di caffè, brioche, tabacchi e facce, perché qui in quasi un secolo se ne sono viste passare, con o senza nome, tante.

Nel trascorrere dei lustri il Moka è diventato Bar Bisa (acronimo di Buona Idea Stare Assieme) e adesso — mentre Walter Bonatti (omonimo del famoso alpinista), classe ’64, snocciola la saga di una famiglia, la sua, e di un quartiere rivoluzionario e rivoluzionato —, l’insegna è bianca: presto cominceranno i lavori di ristrutturazione per trasformarlo in un «bistrottino» in grado di rivaleggiare, quanto ad aperitivi e happy hour, con i locali della zona (speriamo senza perdere la sua vena popolare e schietta e le strepitose foto d’epoca alle pareti).

Alla riapertura, in primavera, si chiamerà Magüterie, se nel frattempo il Walter non cambia idea (a noi piace). «Negli anni Cinquanta il bar tabacchi era un centro di aggregazione, nei Settanta un posto per colletti bianchi, negli Ottanta una tavola fredda –—racconta —. Porta Romana era un paese: si viveva con la porta aperta, ci si conosceva tutti. Oggi siamo di passaggio: da chi gioca al superenalotto ai francobolli, dallo spritz (che mio nonno faceva con il vino bianco e l’acqua gassata) al caffè e alle sigarette, serviamo chiunque transiti in zona». Non c’è cambiamento del locale che non abbia rispecchiato i turbamenti di un quartiere profondamente mutato nel dna, mai nell’anima. Anche dopo lo sbarco degli stilisti, delle boutique, del Teatro Parenti e dei localini etno-chic, questo fazzoletto di Zona 4 non ha perso lo spirito di quartiere con cui era nato. «Quando ero bambino c’erano la Locatelli, che forniva ossigeno agli ospedali, la Pelikan, la latteria San Giorgio, le fermate degli autobus che arrivavano dai paesi dell’hinterland, la Standa in Viale Montenero…». Al Bar Moka, all’epoca, bazzicavano il dirigente della Ramazzotti, il facchino del Verziere, i calciatori Pinardi e Migliorini, il filosofo Rovatti, l’operaio del Pci e il professor Paci, docente alla Statale. Argomenti principali di conversazione? Il calcio, la politica, le donne.

Ausanno Lorenzetti, che fu avventore abituale, racconta in un libriccino prezioso un aneddoto esilarante: «C’era chi sognava la 53, chi bramava la 12, chi partiva alla conquista della 61. No, non erano i numeri della filovia. Si riferivano alle commesse della Standa, che sul grembiule portavano un dischetto con il numero di matricola». Di fronte al Moka, dove c’era il dormitorio Luigi Buffoli, ora sorge un hotel a quattro stelle. Il distributore di benzina dirimpetto non esiste più. Là dove c’era l’erba, ora c’è una città. «Panta rei», tutto scorre, però il Moka resiste. Toglieteci tutto, tranne il totem del villaggio.

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