3 gennaio 2018 - 07:08

Lombardia al voto il 4 marzo, sarà election day. Pressing di Gori e Pd sui radicali

Via libera all’accorpamento di Regionali e Politiche. L’atto ufficiale dovrà essere firmato dal prefetto. Il valzer delle candidature

Da sinistra, Roberto Maroni, Giorgio Gori e Dario Violi Da sinistra, Roberto Maroni, Giorgio Gori e Dario Violi
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Sarà election day e si voterà anche per il Pirellone domenica 4 marzo. L’atto ufficiale dovrà essere firmato dal prefetto nelle prossime ore, ma l’indicazione è ormai certa: al voto mancano solo sessanta giorni. Eppure il quadro politico è ancora in movimento, sopratutto in zona centrosinistra. Il caso del giorno è quello che chiama in causa i radicali di Emma Bonino e Marco Cappato e la loro «+Europa». Dopo lo strappo nazionale col Pd, nato intorno alla questione della raccolta firme, Gori e i dem vorrebbero scongiurare a tutti i costi una replica su scala lombarda. Ma anche qui ci si mettono di mezzo le firme da raccogliere. «Sono troppe, per noi come per chiunque altro nelle nostre condizioni», dice la segretaria dei Radicali di Milano, Barbara Bonvicini. In pratica: per tutti i gruppi non rappresentati al Pirellone (e gli eredi di Pannella non sono al momento presenti in consiglio regionale) la legge lombarda dispone l’obbligo di racimolare almeno 18 mila firme per la presentazione della lista (la metà in caso di elezioni anticipate).

«L’accessibilità democratica per le formazioni non presenti in Consiglio è negata in Lombardia così come a livello nazionale — protesta Valerio Federico della direzione nazionale Radicali Italiani —. È precluso a +Europa di candidarsi come alternativa al quarto di secolo ciellino-leghista. Dopo che noi radicali con l’attuale assessore comunale Lipparini beccammo i raccoglitori di Formigoni con le mani nella marmellata, il Consiglio di Maroni approvò una legge che esentò il suo partito e quelli presenti nel palazzo dal raccogliere le firme e oggi noi dovremmo raccoglierne 10 mila in 25 giorni passando dalla Valtellina alle prealpi del Varesotto. Come dire, “cornuti e mazziati”». Dal segretario lombardo del Pd, Alessandro Alferi arriva però la promessa di un aiuto: «Ci eravamo anche spesi in aula per la riduzione della quota delle firme da raccogliere ma il centrodestra bocciò la proposta. Metteremo comunque a disposizione le nostre strutture per aiutare i militanti radicali». Pur ringraziando per la disponibilità, per i radicali la questione è tutt’altro che chiusa, anche perché l’impresa — con o senza l’aiutino dem — resta difficile. «Apprezziamo la disponibilità di Giorgio Gori e del Pd a un accordo politico e a una raccolta firme comune per +Europa ma il pasticcio che a livello nazionale ci costringe a una scelta solitaria complica la situazione e ci porta a rivalutare ogni opzione», risponde Federico.

La decisione dovrebbe arrivare a breve. Decisiva sarà la parola di Emma Bonino, che per Lombardia (e Lazio) potrebbe dare l’ok a un riavvicinamento al Pd, visti anche i buoni rapporti con il sindaco di Bergamo. «È una figura molto conciliante, in stile Pisapia. È stato tra i primissimi firmatari della campagna di “Ero straniero” — ricorda Barbara Bonvicini — e si è speso per tentare di sbloccare le nostre proposte di legge regionale su biotestamento e cannabis terapeutica». Per Giorgio Gori e il Pd perdere i radicali di Cappato sarebbe un altro brutto colpo, dopo lo strappo consumato coi bersaniani di Liberi e Uguali che a giorni dovrebbero lanciare il proprio candidato alla presidenza.

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