29 gennaio 2018 - 10:00

Milano, la guerra del ramen tra Cina e Giappone: qual è la vera origine?

Tra i tanti locali dedicati ecco dove assaggiare la vera zuppa di noodles

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Scoperto, digerito e assimilato il sushi, durante le brume invernali Milano si dedica al ramen, la zuppa bollente — piatto nazionale in Giappone — molto più pop del sushi (dai 9 ai 15 euro a porzione). Piatto unico, il lamian è nato in Cina; nel dopoguerra conquista il Giappone e diventa ramen. Il Paese del Sol Levante gli ha anche dedicato tre musei. Il ramen si presenta in una ciotola, dove una sorta di tagliatelle nuotano nei diversi tipi di brodo (di pesce come il dashi, o di pollo o maiale). Nel brodo, con le tagliatelle, si trovano altri ingredienti: ortaggi, il kombu (alga marina), funghi shitake, cipolle, fettine di maiale, manzo arrosto e così via. Ciò che stabilisce le varianti è il tipo di aroma del brodo: Shio (sale), Tonkotsu (ossa di maiale), Shòyu (molto scuro), con Miso (a base di soia gialla). Non tutti i locali producono la pasta in casa: gli ingredienti sono farina di frumento e, secondo la scuola cinese, kansui, acqua minerale proveniente dal Lago Kan, in Mongolia. In assenza del kansui, molti usano uova o acqua basica.

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A Milano sono una decina i ristoranti dedicati. Dietro ad alcuni ci sono storie interessanti come quella di Luca Catalfamo, uno dei migliori di scuola giapponese e il primo in città. A trent’anni, Catalfamo lascia l’impresa di pulizie a Cernusco e inizia a lavorare nelle cucine del mondo. Folgorato dal Ramen va in Giappone, dove assaggia e studia. Quattro anni fa torna in Italia e apre all’Isola, quando ramen era una parola sconosciuta. Da poco ha aperto anche Casa Ramen Super e il menu si allarga ad altri piatti. «Il ramen per me è passione che richiede dedizione assoluta», dice Catalfamo. «Seguo la scuola giapponese. Ho adattato un’impastatrice italiana per ottenere i noodles che avevo in mente e mi produco da solo il kansui, l’acqua basica per impastarli».

Invece Francesco Wu, ingegnere e imprenditore cinese cresciuto in Italia, è l’ideatore del nuovo Ramen a Mano a Chinatown. Il locale ha poche settimane, ma è sempre esaurito. Obiettivo: riproporre il ramen delle origini. «Vogliamo fare quello secolare della tradizione cinese», spiega Francesco Wu. «Siamo i primi a Milano a tirare a mano la pasta davanti ai clienti, con farina biologica e acqua basica. Siamo puristi, serviamo solo due versioni: vegana e originale con brodo di manzo cotto per quattro ore. La nostra salsa contiene 15 ingredienti segreti. Con l’architetto Cozzi abbiamo voluto un locale con un po’ di Oriente e un po’ d’Italia. Ecco perché il rovere e altri materiali lombardi nell’arredo. È il mio ringraziamento a Milano».

A credere nel successo del ramen è anche Toridoll, gruppo dal fatturato a nove zeri, con 1.200 ristoranti nel mondo, quotato al Nikkei, che sbarca in via Vigevano con due locali. Il primo è Yokyo Table, l’altro la Bottega del Ramen. Qui esistono anche in versione senza brodo. Ramen cinese, giapponese artigianale, già pronto: a Milano si trovano tutti. Il segreto per rispettarne la qualità è l’armonia tra gli ingredienti, che devono sposarsi tra loro richiamando l’umami, il quinto dei sapori fondamentali, anche se al nostro palato occidentale non è ancora familiare.

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