Milano

Daniele Silvestri: "Milano è la mia seconda casa, qui sono diventato un vero artista"

Il cantautore stasera ad Assago 23 anni dopo il debutto sui Navigli: "La fruizione dei concerti è cambiata drasticamente: ieri c'era l'attenzione assoluta, oggi c'è il filtro degli smartphone"

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"MI SONO sempre sentito in debito con Milano, quindi questa serata per me ha un senso molto profondo". Daniele Silvestri misura le parole, poi mescola passato e presente, ricordi e aneddoti nel descrivere un evento assoluto come quello che questa sera porterà a Assago: si chiama "Cose che abbiamo in comune", è la sua prima volta al Forum e sarà una festa condivisa da alcuni speciali compagni di viaggio come Niccolò Fabi, Max Gazzè, Samuele Bersani, Manuel Agnelli e Carmen Consoli. "Un evento quasi dovuto, perché Milano è la mia seconda casa. Anzi, dal punto di vista professionale direi che è la prima, è questo il posto dove artisticamente sono cresciuto di più".

Ma il primo concerto qui se lo ricorda?
"E chi lo dimentica? Alle Scimmie, nel 1994. Ricordo una fatica incredibile, tanto che quando scesi dal palco mi dissi che non avrei mai potuto fare questo mestiere".

Scriveva canzoni e non pensava di cantarle?
"In realtà non ho mai avuto quell'ambizione. Ho cominciato a scrivere perché mi divertiva, senza immaginarmi al centro dei riflettori. Dopo anni in cui facevo ascoltare i miei pezzi mi dissero che avrei potuto cantarli solo io. Erano troppo personali. Ed eccomi lì".

E ora eccola qui, al Forum di Assago.
"Un evento che, come spesso mi capita, è figlio di coincidenze e di pensieri di corsa. Se devo raccontarla in modo semplice: l'idea è di riuscire a fare qualcosa che qui non ho mai realizzato, mettendo insieme tanti aspetti del mio mondo e tante persone che mi sono state vicine".

Per questo ha voluto sul palco anche gli amici?
"Sì, è una forma di condivisione, ma stando attento però che non diventi un festival o un semplice alternarsi di ospiti. Ogni nome ha un senso. Niccolò e Max vengono da dove arrivo io, gli anni Novanta a Roma, mentre con Samuele siamo fratelli separati alla nascita: per anni ci hanno confuso per strada. Con Manuel e Carmen invece l'amicizia è più recente, ma anche loro sono usciti dallo stesso decennio".

Tutti figli degli anni Novanta, che ancora avevano una casa discografica alle spalle...
"Sì, è vero, noi fummo la coda finale di una parabola già in discesa. Ripensandoci, fu un periodo fortunato perché era un momento di passaggio confuso: furono commessi molti errori da parte delle etichette, ma noi godemmo di una discreta esplosione di libertà".

Libertà che lei però ha sempre avuto: mai pubblicato un disco in cui non credesse veramente.
"Mai. La prima volta rischiai di farlo nel 2013: dopo la partecipazione a Sanremo, avrei dovuto uscire con un nuovo album, ma non ero contento di quello che avevo scritto. Poi arrivò l'idea del trio con Max e Niccolò e lì mi si aprirono nuovi orizzonti, ritrovai lo slancio. Questo prolungamento di carriera lo devo a loro...". 

Dalle Scimmie a Assago: in questi ventitre anni però la fruizione dei concerti è cambiata drasticamente: ieri c’era l’attenzione assoluta, oggi c’è il filtro degli smartphone.
"E l'effetto è strano a vederlo dal palco. A volte, lo confesso, si sfiora il ridicolo davanti a un pubblico di duemila persone in cui più di cinquecento hanno le braccia alzate con un telefono in mano. Però è diventato anche il modo per intercettare il gradimento di una canzone, un po' come i click di YouTube. È sicuramente un modo differente di stare al concerto, ma c'è chi ha fatto peggio".

E chi?
"Io. Nel 1989 andai a Monaco, all'Olympiahalle, a vedere il concerto di Paul McCartney. Rimasi per tutto il tempo con il braccio alzato e un registratore in mano. Fu una sofferenza, ma custodisco gelosamente quelle due audiocassette. Che non vennero nemmeno male".

Facciamo un gioco alla "Ritorno al futuro": adesso si ritrova nel 1994, e incontra il Daniele Silvestri di allora. Cosa gli consiglia?
"Innanzitutto gli raccomanderei di non esagerare con la pasta. Poi gli chiederei in che modo scrive le canzoni e lo osserverei, curioso, perché l'esperienza che si accumula negli anni è un pregio, ma anche un difetto. L'arte diventa mestiere, quello che hai già scritto finisce per condizionarti".

Riascolta mai le sue prime canzoni?
"Ogni tanto. Vado anche a risentire i brani mai incisi, quelli che dormono nel cassetto. Lo faccio per capire quell'approccio incosciente che ora non è facile ritrovare. Oggi per tornare a quella semplicità devo lavorare molto".

E al futuro ci pensa mai?
"Sempre. Sto scrivendo nuova musica, ma penso anche che in questi anni la forma canzone l'ho consumata. Mi piacerebbe, un giorno, darmi anche la possibilità di fare altro. Staremo a vedere".