Milano

Blitz antiterrorismo, italiana finisce nei guai per amore di trafficante

A far finire Cristina Agretti nell'inchiesta che ha portato in carcere 14 persone accusate di finanziare le milizie qaediste in Siria è stata una storia d'amore. E' accusata di essere "custode e corriere del denaro"
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A far finire Cristina Agretti nell'inchiesta che stamattina ha portato in carcere quattordici persone accusate di finanziare le milizie qaediste in Siria, non è stata una repentina conversione all'islam, ma la storia d'amore e il matrimonio con Subhi Chdid, "Abu Ali", considerato dagli investigatori dello Scico della Guardia di Finanza come uno tra gli organizzatori e promotori del gruppo di islamici che hanno raccolto in Italia circa due milioni di euro poi trasferiti a connazionali in altri paesi d'Europa, ma anche in Siria, Turchia e Libano attraverso il circuito "Hawala", basato su compensazioni finanziarie tra creditori e debitori.

Circa dieci anni fa la donna, 42 anni, residente a Villatico, frazione di Colico, provincia di Lecco, incontra Chdid - di due anni più giovane - nell'azienda del fratello Giacomo, dove lei lavorava come segretaria. Gli Agretti hanno un'azienda che commercia materiale edile, e Chdid ha una piccola impresa di costruzione. I due lì si conoscono, si frequentano e poco dopo vanno a vivere insieme. Cristina ha già una figlia avuta da una precedente relazione, e avrà due altri figli con il nuovo compagno: uno ha oggi tre anni, l'altro frequenta le scuole elementari. A Villatico, dove la donna vive nella stessa palazzina dei genitori, il padre Fernando e la madre Fermina, in molti ricordano Subhi e le sue lunghe assenze per viaggi in medio Oriente, a cui forse oggi l'inchiesta della procura di Brescia ha dato una spiegazione.

Agretti e Chdid sono accusati entrambi di far parte del "gruppo Anwar", dal nome di Anwar Daadoue, vertice dell'organizzazione che vive stabilmente in Svezia. Per gli investigatori, la donna ha avuto un ruolo di "custode e corriere del denaro" che veniva inviato da un paese all'altro, anche oltre i confini europei. Nelle carte dell'inchiesta è citato, per esempio, un viaggio di Chdid dall'Italia alla Turchia. E' il giugno 2016, e Chdid sta portando in Medio Oriente diciottomila euro. L'uomo è sottoposto a un controllo da parte delle forze dell'ordine al porto di Ancona, e agli agenti dice di essere un commerciante d'auto. Poi telefona alla moglie Cristina, "la quale dapprima gli dà consigli su come nascondere il denaro per evitare che qualcuno glielo controlli o glielo rubi - scrivono i finanzieri dello Scico -, poi affronta l'argomento Daadoue Anwar". Dalla conversazione, per i finanzieri, "si evince che la donna consiglia Subhi a chiedere aiuto ad Anwar, in modo da sfruttare per il futuro la sua rete hawala per il trasferimento di denaro".

In questa attività Chdid è aiutato dai suoi due fratelli, Redouan e Hamoud, uomini di fiducia di Anwar, anche loro arrestati, che hanno lucrato sul traffico dei migranti dal loro paese, gestendo i flussi dal versante balcanico in Italia. L'attività di raccolta e trasferimento di denaro è diventata l'attività principale della famiglia tanto che Chdid, dopo la chiusura della sua azienda di costruzione,  non ha avuto un'altra occupazione. Una situazione che preoccupava i genitori di Cristina, ed era causa di frequenti liti in famiglia.