Napoli

Ezio Mauro: "Racconto una vicenda che arriva fino a Renzi e Bersani"

L'ex direttore di Repubblica ha presentato alla Feltrinelli il suo ultimo libro "L’anno del ferro e del fuoco", sulla Rivoluzione russa del 1917

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"È una grande storia, che parte da allora e arriva fino a Renzi e Bersani". C’è il sorriso, forse amaro, di Ezio Mauro quando, dopo una navigazione fra Lenin, Trotsky e Kerenskij, l’ex direttore di Repubblica arriva a tracciare quel po’ di parallelo fra ciò che avvenne cento anni fa fra l’allora Pietrogrado, Mosca, Pskov e Ekaterinburg, e ciò che ancora oggi si snoda fra i palazzi dell’Eur e la Leopolda.
[[ge:rep-locali:rep-napoli:183044995]]L’occasione è la presentazione del suo ultimo libro “L’anno del ferro e del fuoco”, protagonista assoluta la Rivoluzione, anzi le due rivoluzioni russe del 1917, quella che depose lo zar, a febbraio, e quella successiva di ottobre con la presa del potere dei bolscevichi di Lenin.

Mauro ha ricostruito quegli eventi alla Libreria Feltrinelli di Chiaia, narrando anche la sua appassionata ricerca di fonti e testimonianze presso i vari luoghi che ne furono scenario. Il tutto in una sala affollata, per un attento ascolto di quei fatti che sono lontani un secolo, ma che sembrano avere ancora qualcosa da insegnare. Ad esempio, ecco lo spunto per quella che forse è la prima fake news, proprio in quel fatidico 1917: "Al suo secondo rientro dalla Finlandia, quando Lenin scende dal treno, alle sue spalle compare Stalin. Non l’aveva visto  nessuno prima. Fu una vera mistificazione". E poi il treno, appunto. C’è chi lo usa ancora per la campagna elettorale. Ma la ferrovia fu la vera protagonista di quei giorni fatidici. Due treni: quello che a marzo porta la zar in fuga fino a Pskov, dove firmerà  l’abdicazione, e quello di Lenin, che arriva in Russia ad aprile, dopo una contrattazione con i tedeschi per farlo rientrare dall’esilio di Zurigo. Un contrappunto fra i due convogli, che quasi si parlano, a distanza di trenta giorni l’uno dall’altro: "quasi da cinema", constata Mauro.

Ma sono cinematografiche anche le citazioni delle "notti brave" di Rasputin, il monaco da cui tutto partì, e il cui avvento a corte segnò l’inizio del lento scivolamento dei Romanov fino alla rivoluzione. Oppure quelle donne che svoltano dalla Prospettiva Nevskij verso la cattedrale di Kazan per andare a chiedere il pane che mancava, e così facendo danno origine inconsapevole alla rivoluzione. Lo stesso zar, che attende sei ore a Pskov l’arrivo dei messi della Duma e cerca di capire cosa fare, un po’ come toccò a Gorbaciov nella dacia in Crimea durante il tentativo di golpe dell’agosto 1991.

Due lontananze, che dicono di come una costante della storia russa sia la vastità del territorio, tanto che "tutte quelle vicende si mossero soprattutto sui fili del telegrafo", e che ancora oggi quella vastità giustifica "ciò che noi occidentali stentiamo a comprendere, ovvero che il russo cerca dal potere protezione, e che Putin ha restituito quel senso di imperiale a cui il popolo russo tiene tantissimo e di cui si era sentito quasi privato dalla fine del periodo sovietico".

Insomma l’imperialismo è ancora lì, motore almeno di quella storia, e dei suoi misfatti, come l’eccidio finale dei Romanov, "i cui corpi vennero fatti a pezzi, trattati con acido solforico e bruciati". E la tragedia della storia è anche nella negazione della memoria. Bruno Manfellotto, già direttore dell’"Espresso", guida l’esposizione del libro dando a Mauro l’assist: "È un atto di fede e di passione per la memoria, che troppo spesso manca oggi nei giovani". Nei giovani e non solo: "Sono stato sul campo degli Urali dove quei resti dei Romanov sono stati seppelliti – racconta l’autore - A poca distanza c’è un cippo, che segna il confine fra Europa e Asia. Ci arrivano i turisti giapponesi, si fanno la foto, ignari del fatto che poco più in là c’è una storia intera che li attende".