Napoli

"Arturo, la città non collabora"

Il procuratore de Luzenberger sul 17enne accoltellato a Foria.  Analoga “rassegnazione” su un raid al Vomero
 

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Ritorno a casa, per Arturo. Nelle stesse strade dove, purtroppo, almeno tre dei suoi feroci aggressori risultano liberi, e impuniti. «Un clima non comprensibile, un velo di omertà, forse di rassegnazione o di indifferenza», ancora copre la banda che lo aveva pugnalato e lasciato quasi morto a una fermata del bus. Sono le parole, ponderate e venate d’inquietudine, che il procuratore capo per i minori di Napoli, Maria de Luzenberger, affida a Repubblica, nelle ore in cui il sindaco Luigi de Magistris torna a visitare all’ospedale “Monaldi” lo studente gravemente ferito, e i suoi genitori, Maria Luisa Iavarone e Vittorio P. « Allora, ragazzo, ci vediamo in Comune, dobbiamo parlare di un sacco di cose», gli ha ripetuto il primo cittadino. Stamattina, intanto, in corsia dovrebbe arrivare anche il cardinale Crescenzio Sepe, insieme con il vicario episcopale, nonché referente regionale di Libera, don Tonino Palmese.

Sepe visita Arturo in ospedale

Sul ferimento di Arturo, sono concentrati squadra Mobile e Procura dei Colli Aminei. Lungo vertice in quegli uffici, due giorni fa. Ci sono due minori indagati, per uno dei quali il gip Pietro Avallone ha motivato la custodia in carcere. «La polizia si sta dando da fare moltissimo, non voglio e non posso entrare nel merito, non lasciamo nulla di intentato - sottolinea il procuratore de Luzenberger - Ma devo rilevare che la città non ci ha aiutato come speravamo » . E ancora: « Vedo un clima di omertà o di rassegnazione che purtroppo lascia sorpresi. Altro esempio sconcertante? A dicembre, in piazza Vanvitelli, al Vomero, si è consumato un altro episodio di accoltellamento: ma nessuno ha neanche pensato di chiamare le forze dell’ordine. Noi siamo arrivati da soli a ricostruire la vicenda». Tre settimane dopo, oggi pomeriggio, scattano dunque le dimissioni per il diciassettenne di via Foria, Arturo P. , lo studente del liceo “ Vincenzo Cuoco” ferito con venti coltellate, in pieno pomeriggio, lo scorso 18 dicembre: assalto sferrato di pomeriggio, da una gang di minori armati di coltelli, sull’arteria centrale che collega il museo Archeologico a piazza Carlo III.

Arturo, «vivo per miracolo» secondo i medici, migliora visibilmente ma porterà ancora a lungo profonde e vistose cicatrici, quelle sulla pelle e quelle interiori. Le prime si vedono anche troppo: alla giugulare, sul petto, all’ascella, alla schiena, a una gamba, ancora sul petto. C’è anche una corda vocale gravemente danneggiata. Ma là fuori, quella banda non è stata ancora del tutto identificata: anche se sono quattro, complessivamente, i ragazzini nel mirino.

Uno, F., 15 anni è rinchiuso nel carcere minorile di Airola da Natale, si dichiara innocente, frequenta l’istituto “Casanova” ma è lo stesso che si faceva fotografare con la pistola su Fb e che è stato riconosciuto anche da altre vittime. L’altro, G., coetaneo e amico di slogan violenti sui social, è iscritto anch’egli per tentato omicidio ma a piede libero, visto che per l’ora del raid sarebbe coperto dall’alibi del lavoro part-time in un negozio di pastori. Altri due, tra i 15 e i 17, S. e R., non risultano indagati, ma anche a loro due la Procura ha ordinato di consegnare i cellulari da affidare alla perizia di un consulente. In sintesi: dei quattro accoltellatori che si erano avventati su Arturo come uno dei loro “casuali bersagli”, almeno tre sono liberi di agire.

Non a caso, lasciato l’ospedale, Arturo potrebbe trascorrere qualche giorno nella casa del padre, in un comune della provincia, prima di tornare alla sua vita, alla scuola e alla sua residenza di via Foria ( i genitori sono separati da anni, ma molto compatti accanto al ragazzo). Tre settimane dopo - a parte il corteo dei 5mila a Foria - quasi niente è cambiato. « Vedo un clima di omertà o di rassegnazione che purtroppo lascia sorpresi » , riflette senza ipocrisia de Luzenberger, dal suo ufficio ai Colli Aminei. «Una considerazione tanto più amara in quanto legata alla consapevolezza che questi ragazzi, se non assicurati alla giustizia, se non fermati e anche aiutati a rivedere oggi le proprie condotte devianti e pericolose, potranno tornare a colpire. Potranno tornare a fare del male. E a macchiarsi di fatti altrettanto gravi e drammatici».