Napoli

Le parole dimenticate di due papi

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La malavita a Napoli è in se stessa un conflitto civile e la violenza non è altro che il linguaggio che questo conflitto produce. Disoccupazione di massa, alloggi per l’aggregazione e la socialità abbandonati, servizi pubblici rari e progressivamente resi più difficili, insufficienza dei trasporti pubblici, povertà, esclusione sociale e vita in stato di confino, di segregazione, asfissiano gli abitanti della periferia, gli inquilini dei quartieri popolari, gli ultimi sulla lista dei diritti. Ma chi avesse la sensazione che la periferia sia un problema della sola periferia, si sbaglia. C’è una periferia che si allarga a dismisura, più di un luogo, oltre lo spazio, al di là delle convenzioni.

Forcella, Sanità, Pallonetto, Rione Traiano, e altro ancora, dicono centro ma delocalizzato dalla normalità civile. Periferia oltre la periferia, un problema che riguarda tutti, un affare di solidarietà e di cittadinanza che non può essere relegato a una sola parte della città. La stessa vita ordinaria dell’intera collettività è messa a serio rischio dal degrado della sua periferia allargata. Amo Napoli, ma se la periferia malata avanza al centro della sua quotidianità, anche nell’interpretazione del vivere, nella sostanza politica del suo disordine, allora non c’è speranza per la nostra città.

A meno che non emerga, dalla rovine causate da chi la governa, dallo Stato centrale assente alle amministrazioni locali incompetenti, una nuova visione, una nuova strategia di futuro, che rischi un’idea di sviluppo inclusiva, solidale, intelligente che metta in dialogo centro della città e i suoi confini, una possibile, reale trasformazione non gridata per scansare responsabilità e inebetire sempliciotti, ma che sia capace di convincere sé stessa non in forza di parole di fumo ma di una rivoluzione reale oltre gli slogan. L’ 8 aprile, oggi, di tredici anni fa, salutavamo per sempre in Piazza san Pietro Giovanni Paolo II, un Papa, che venuto da lontano, sembrava conoscere la nostra città meglio di chi la governava, molto meglio di chi la vive ogni giorno.

E proprio da Napoli, coraggiosamente, lanciò una sfida che poteva diventare una proposta politica, sociale, uno sguardo visionario che ancora oggi suona dopo più di trent’anni come provocazione per trasformare questa città da “terra di nessuno” in straordinaria possibilità. I fogli scritti tra le sue mani, preparati altrove, seguivano il protocollo, lo sguardo oltre lo scritto incrociavano la commozione di uomini e donne di Scampia, la speranza sofferta di molti, la curiosità morbosa di troppi. “ Per Napoli”, gridò Wojty?a, “ una nuova stagione è improcrastinabile ed è ancora possibile”.

Sarà Papa Francesco, nel suo ultimo viaggio a Napoli, a completare il senso delle parole del Papa polacco: “Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti. Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli. La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città!”. Parole forti che non lasciano spazio a interpretazioni: “Il male non abbia l’ultima parola”, ma è chiaro che tra le righe affermava che nel frattempo a Napoli già si sperimentava la penultima parola. “La vita a Napoli non è mai stata facile”, ma “qui esiste una cultura di vita che aiuta sempre a rialzarsi”, la speranza non può abdicare, non deve, bisogna che grazie alla sua forza ci si ribelli alla morte di futuro, bisogna combattere contro coloro che volontariamente scelgono il male e rubano la speranza a sé stessi, alla gente onesta e laboriosa, alla buona fama della città, alla sua economia.

“A volte capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti”, ma neanche le sbarre di un carcere possono privarci dalla speranza di riscattarci, neppure la drammatica condizione giovanile, nella città europea con il maggior numero di giovani, può farci cedere a ogni forma di complicità con lo sfruttamento, alla rassegnazione malata che toglie parole alla giustizia. Giovanni Paolo II, le sue parole, e quelle di Papa Francesco, sono parole che il vento ha raccolto e portato altrove, e nonostante le promesse di politici, vescovi e preti di farle proprie, non restano che un lontano ricordo.

Eppure la loro forza rivoluzionaria, il loro desiderio di riscatto possono ancora provocare speranza, potrebbero farlo, se insieme, tutti, oltre le polemiche e la mediocrità diffusa, sapessimo ritrovare il valore dell’appartenenza e la responsabilità civile di ricostruire insieme il nostro futuro. Tutto questo si chiama politica, governo, amministrazione, gestione pubblica, cura della città, parole che debbono riacquistare il loro vero significato. Qui più che altrove.