Napoli

Avellino, il ritorno di Nicola Mancino: "Ho pianto quando i giudici mi hanno assolto"

"Vorrei dare una mano alla città. Ma a 86 anni posso solo dare suggerimenti"

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Torna in campo a 86 anni, ma chiarisce: “Posso solo dare suggerimenti, se me lo chiedono”. L'ex presidente del Senato Nicola Mancino racconta alla città di Avellino i suoi sette anni di calvario come imputato nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. E confessa: “Ho pianto quando i giudici hanno letto la sentenza di assoluzione, è stata una liberazione dopo tanta sofferenza”. Quaranta minuti di conferenza stampa nell'affollatissima sala del circolo della stampa di Avellino: ci sono i suoi fedelissimi ma anche semplici cittadini che hanno voluto ascoltare la sua testimonianza, a tratti sofferta. “Per molti – ha spiegato
Mancino - ero diventato il simbolo della trattativa Stato-mafia e sono stato costretto a subire in silenzio. Ma ora è finita e posso ringraziare tutti quelli che sono stati al mio fianco, anche se io quasi mi vergognavo della condizione che ero costretto a vivere”. L'ex Ministro ha ripercorso le tappe di una lunga e prestigiosa carriera istituzionale iniziata negli anni '70 come primo presidente della Regione Campania e proseguita poi da Ministro, presidente del Senato e vicepresidente del Csm. Eppure poi è arrivata l'accusa di falsa testimonianza che l'ha trascinato sul banco degli imputati al fianco di criminali del calibro di Totò Riina. “Ho passato tante notti in bianco. A volte mi svegliavo all'improvviso e mi mettevo a scrivere, a studiare le carte del processo”. Sono stati anni difficili anche nel rapporto con la sua gente, con la città di Avellino. “Vi chiedo scusa se vi ho fatto nascere il sospetto ma io ho rispettato lo Stato e mi è stato inferto un duro colpo”. “Sono stato messo in un angolo – racconta ancora Mancino - sempre con la preoccupazione, nonostante sapessi della mia innocenza”. Ha confermato di voler dare una mano alla città, che si prepara alle amministrative del 10 giugno. “Ma bisogna creare una classe dirigente nuova, diversa e responsabile, che s'innamori del ruolo. Ci sono troppi improvvisatori”.