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L'ex vescovo di Vallo: "Nel Cilento una cupola di interessi, Vassallo ammazzato da una burocrazia mafiosa"

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VALLO DELLA LUCANIA. “Angelo Vassallo è stato ammazzato da una burocrazia mafiosa”. Parole dure quelle che monsignor Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia e già vescovo di Vallo della Lucania, ha utilizzato nella lettera inviata a Gabriella Russo, la dirigente dell’istituto scolastico di Pollica, promotrice dell’apertura di un presidio di Libera dedicato all’ex sindaco di Pollica Angelo Vassallo, ucciso con nove colpi di pistola la sera del 5 settembre 2010. “Gentile e distinta signora Russo – scrive il prelato - esprimo tutto il mio apprezzamento per la coraggiosa azione che lei conduce a Pollica, come educatrice di giovani e responsabile del presidio di Libera”. Ma poi la lettera cambia improvvisamente tono.

“Nel Cilento, la camorra non è violenta. E' l'espressione di una "burocrazia mafiosa" – scrive Casale - che mette insieme interessi personali, familiari e di parte, per rapinare le poche risorse del territorio; per dividersi la torta degli interventi regionale e statali, per compiere opere secondarie che non convergono in un progetto unitario di profondo cambiamento”. Una vera e propria denuncia quella del prelato vallese che punta il dito contro le istituzioni.

“Questo va bene a tutti – scrive - Guai a chi tocca di sovvertire questo ordine fittizio e opprimente. Si possono fare soltanto sterili convegni, in cui ci consoliamo con parole. Ma tutto rimane immobile. Se un Angelo Vassallo tenta di cambiare il sistema – continua - bisogna eliminarlo. Ed è stato eliminato perchè, nell'anonimato connivente, si possa continuare a bloccare la liberazione di un popolo che impoverisce ogni giorno e vede i suoi giovani o partire in cerca di lavoro o intristire e avvizzire in un Cilento che ogni giorno invecchia e, lentamente, muore”. Monsignor Casale è un fiume in piena. Paolo VI lo volle vescovo nel 1974: gli fu prima affidata la diocesi di Vallo della Lucania e poi quella di Foggia-Bovino dove rimase fino al 1999. Oggi ha 94 anni, vive a Vallo della Lucania, e insieme al vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, è uno degli ultimi prelati italiani testimoni dei giorni del Concilio Vaticano II. “Più volte – continua amareggiato - ho espresso la mia speranza di un cambiamento. Ma debbo ricredermi. Il cambiamento non può avvenire se non facciamo saltare questa "cupola" di interessi, di localismi, di pigrizia, che non ci fa respirare”.

E aggiunge: “E' possibile suscitare una reazione che coinvolga tutte le persone di buona volontà? Vi è, certamente, un altro anonimo assassino che, spinto dalla burocrazia mafiosa, è pronto a uccidere. Faccia pure, ci saranno persone in grado di liberare le energie migliori del nostro Cilento. Io ci sono. Sono povero, non ho potere ma voglio essere la voce che grida a nome di tanti oppressi”. Casale è stato da sempre impegnato in prima linea. Durante i quattordici anni di permanenza nel Cilento si dedicò, tra l’altro, all’attività pubblicistica collaborando con i quotidiani “Il Mattino” e “Avvenire”; a Foggia invece si è sempre contraddistinto sin dall'inizio per l'attenzione alla giustizia sociale e per l'opposizione al dilagare della malavita organizzata. I suoi numerosi interventi nel dibattito pubblico, anche al di fuori della materia ecclesiale, gli diede una visibilità che travalicava i confini della diocesi e che gli ha dato la fama di vescovo progressista. D'altronde come lui stesso scrive in coda alla lettera “la vita non ha senso se non si spende per il bene della comunità”.