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Napoli, i giornalisti e le loro vite sotto scorta

Racconti d iaggressioni e minacce subite dai clan, i cronisti raccontano le loro storie
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 Luciana Esposito piange mentre racconta la sua esperienza, le aggressioni e le minacce subite dai clan, a Ponticelli, periferia est di Napoli. Tutto alla luce del sole. Fabio Postiglione, cronista di nera e giudiziaria, dice di "averne fatti di guai" a cominciare da quando, meno che trentenne, chiese in prestito l'auto al fratello e le diedero fuoco per alcuni suoi articoli, "ma sono qui, in piedi". Arnaldo Capezzuto racconta di aver superato una "autoassicurazione" che si ripeteva di fronte alle minacce della camorra mentre scriveva di Annalisa Durante, morta a 14 anni, nel 2004, vittima innocente uccisa a Forcella, a Napoli. "Mi dicevo: 'Sarà stato nervoso di suo' - afferma - poi è stato come aprire gli occhi e ho denunciato".

Ed ancora. Paolo Borrometi vive sotto scorta da diverso tempo, a causa delle minacce e dell'aggressione per alcune inchieste; ieri ha testimoniato, in tribunale a Siracusa, nel processo che vede imputato Francesco De Carolis, 44 anni, siracusano, accusato di minacce gravi e violenza privata aggravate dal metodo mafioso. Sono solo alcuni dei giornalisti minacciati per il loro lavoro, gli articoli scritti, le inchieste, le domande, che oggi hanno preso parte a #VoceAiGiornalisti. Ognuno ha una storia da raccontare, diversa per genesi, ma uguale nel finale: minacce, aggressioni fisiche.

"L'avvocato della difesa, tra le altre cose mi ha chiesto: 'Ma perché doveva scrivere proprio di De Carolis'? - ha raccontato - Come perché? Perché è il mio lavoro, perché esiste l'articolo 21 della Costituzione". "Chi ci minaccia, non è più forte di noi - ha sottolineato - Ieri in tribunale c'erano i cittadini al di là delle associazioni. La mia scorta civile, accanto a quella che ringrazio sempre delle forze dell'ordine".

Dopo l'aggressione subita, Borrometi ha dovuto sottoporsi a cure mediche: "Me le hanno pagate i miei genitori, io venivo pagato 3 euro e 10 centesimi lordi e non potevo permettermele". "Sono stanco  - dice -  di vedere migliaia di colleghi che non arrivano a fine mese, non possono avere un profilo Casagit, non possono pagarsi cure". "Creiamo qualcosa, chi può si autotassi, ma pensiamo a chi non ce la fa - ha aggiunto - io sono uno sporco precario e lo rivendico, ho i piedi stanchi di chi cerca ogni giorno una notizia".

Le minacce a Postiglione, dall'auto incendiata del fratello, sono arrivate prima al giornale, Il Roma, poi fin sotto casa. "Io ho denunciato, eppure non so che fine abbiano fatto quelle persone - sottolinea - La mia denuncia giace nell'ultimo cassetto dell'ultimo Commissariato. Non c'è stata alcuna indagine, sono vivo ma nel limbo. Siamo appesi, ci possono lasciar cadere nel vuoto". E lascia con una domanda: "La colpa è del giornalista che ha lavorato o di chi non fa le indagini e se ne frega?".