Napoli

"Napoli e Campania, crisi drammatica: ora cerchiamo le nuove leadership"

Lettera aperta a "Repubblica" di Marco Rossi-Doria: "Avviare subito una riflessione politica, idee per il Mezzogiorno con nuovi protagonisti in vista del voto in Campania e a Napoli"

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Caro direttore, scrivo per chiedere un impegno straordinario delle pagine di “Repubblica” per ricostruire una riflessione pubblica sul riscatto del Mezzogiorno e in particolare della Campania e di Napoli. Credo che si possa ragionevolmente convenire che, nei nostri territori, vi sono esperienze di impresa, impegno sociale e innovazione straordinari. Possiamo riconoscere come buone alcune scelte e misure dei governi nazionali, regionali e locale che ci hanno riguardato negli ultimi anni. Possiamo riconoscere che alcune proposte oggi al centro dell’agenda nazionale – in particolare l’estensione del reddito di cittadinanza – hanno il merito di ridare importanza alla vita concreta, di chi sta peggio, al di là del come farlo.

Tuttavia non v’è dubbio che la situazione del Mezzogiorno è peggiorata, che la Campania e la vasta area metropolitana di Napoli condividono tale situazione in modo drammatico e che non si vede all’orizzonte una proposta credibile di rinascita. I 20,8 milioni di abitanti nel Mezzogiorno sono il 34,3% degli italiani ma la quota di Pil nazionale prodotta nel Sud è pari al 20%. Se si usano indicatori che guardano oltre la mera produzione, a ambiente, education, opportunità civili, benessere e welfare il divario non cambia. Questa situazione ci chiama, a considerare come prioritaria – come dice Carlo Borgomeo – la infrastrutturazione sociale e culturale perché senza di questa la crescita non può decollare.

Al contempo – come dice Adriano Giannola – suggerisce un’azione culturale e politica molto ampia per poter aggredire la nostra strutturale condizione di minorità perché “senza Sud anche il Nord va a sbattere” e l’Italia intera esce dalla possibilità di una via di sviluppo che sia sostenibile e integrata e che si muova entro la dimensione euro-mediterranea.

È una prospettiva che deve riscoprire e fare tesoro – come raccomanda Gerardo Bianco, presidente della storica Associazione per gli interessi del Mezzogiorno - della spinta etica e del metodo appassionato e rigoroso dei grandi meridionalisti, del loro modo di proporre lontano da ogni demagogia e facendo della battaglia per il Sud di nuovo la principale questione nazionale dell’Italia.
Sono i dati – innanzitutto quelli che riguardano ogni forma di esclusione strutturale - che ci suggeriscono un indirizzo fondato su un meridionalismo radicale e ambizioso.

Il tasso di occupazione è del 44% mentre la media nazionale è del 56,3%. Nel 2017 vi è stato un incremento quasi uguale nel tasso di occupazione tra Nord (0,8), Centro (0,7), Sud (0,6) ma l’indicatore raggiunge livelli pressoché analoghi a quelli pre-crisi (2008) nel Nord e nel Centro mentre nel Sud il dato è ancora al di sotto del 2008 di 2 punti. Si tratta di ben 380 mila persone occupate in meno al Sud dal 2008. Anche la disoccupazione si riduce ovunque ma i divari rimangono accentuati: nel Sud (19,4%) è quasi tre volte quella del Nord (6,9%) e circa il doppio di quella del Centro (10,0%). Nei 12 maggiori comuni d’Italia i tassi di disoccupazione sono in calo in molte realtà, da Palermo a Bari a Genova o anche in aumento lieve (Milano) o più marcato (Messina e Catania). Ma è a Napoli dove la crescita della disoccupazione assume contorni da record: +3,9% in un anno (dal 26,6% al 30,5%), nonostante l’evidente boom del turismo. Il che significa 24 mila persone in più in cerca di lavoro e la resistenza del sommerso e del lavoro pagato pochissimo. I senzalavoro, in città, sono 113 mila.

Nel 2007 i disoccupati censiti dall’Istat erano 34 mila (l’11% della popolazione attiva): ossia ben 79 mila in meno di oggi. E se vi è un boom in agricoltura, nel settore industriale in Campania la decrescita dell’occupazione è stata, dal 2008, di 20.700 unità e a Napoli di 5.600. Di particolare gravità è la situazione delle donne senza il titolo di studio dell’obbligo che hanno un tasso di attività pari al solo 17%, delle più giovani (15-34 anni) che partecipano al mercato del lavoro solo per il 35,5%, con un tasso di occupazione che nel Sud (22%) è la metà di quello del Nord (44%).

Nel Sud vive un terzo delle persone (34,4%) ma il 58% dei poveri. L’incidenza della povertà assoluta delle famiglie nel Mezzogiorno è aumentata dall’8,5% del 2016 al 10,3% del 2017. Nel Nord invece aumenta di poco (da 5,0% a 5,4%) e nel Centro diminuisce (da 5,9% a 5,1%). L’incidenza della povertà relativa - che si è mantenuta stabile sia al Nord che al Centro – vede un aumento, nel Sud, dal 19,7% al 24,7% per quanto riguarda le famiglie e dal 23,5% al 28,2% per quanto riguarda gli individui. Nelle famiglie di soli stranieri la povertà assoluta è pari al 28% al Nord, al 24% al Centro e al 43% nel Sud. E benché i minori siano di meno, un minore povero su due vive al Sud. Il fallimento formativo e la povertà educativa multifattoriale hanno tassi almeno doppi al Sud con picchi di un quarto della popolazione scolastica nelle zone povere della Campania. Per non parlare delle crisi dovute a camorra, a degrado urbano, a lungo abbandono ambientale, a inaccessibilità al credito per chi ne ha più bisogno o sa più innovare, ecc.

La caduta nel tasso di natalità, i dati sulla speranza di vita e la crescita dell’emigrazione dalla nostra regione confermano la profondità della crisi. Il tasso di natalità è passato dall’11,4% del 2002 all’8,6% nel 2017. In 15 anni in Campania c’è stata una diminuzione delle nascite del 32,6%. Le province di Caserta e Napoli hanno una speranza di vita di 24 mesi inferiore a quella media nazionale. Dalla città di Napoli ogni anno, da molti lustri, parte il 6 per mille della popolazione che, infatti, per la prima volta in decenni è sotto il milione di abitanti. Sono tanti i nostri ragazzi capaci di attivarsi che girano il mondo ma che privano i nostri quartieri di preziose risorse umane. Molti sono qualificati e fanno parte dei 198 mila laureati meridionali che sono andati via dal 2000 ad oggi, con una perdita che la Svimez valuta pari a 30 miliardi di euro.

Se è questo il nostro paesaggio, dobbiamo riconoscere che vi sono state forti responsabilità nazionali di carattere economico, culturale e politico nel penalizzare il Sud a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Queste hanno fatto nuovamente allargare la forbice Nord/Sud dopo anni di recupero, hanno minato la coesione nazionale e mortificato le potenzialità di sviluppo di tutta l’Italia. Al tempo stesso è innegabile che, ben al di là di responsabilità individuali gravi, non sono maturate, in nessuna parte politica, moderne leadership meridionali inter-generazionali capaci di superare il notabilato basato sulla rendita di posizione, di andare oltre retoriche quanto meno inadeguate rispetto alla situazione reale e proporre un’offerta politica non demagogica, all’altezza dei problemi e anche delle potenzialità che esprimiamo.

Nessun partito può essere risparmiato da tale responsabilità anche se chi ha governato questo territorio più a lungo ha responsabilità davvero maggiori. Il perché ciò sia avvenuto e il perché alcune esperienze positive di governo si siano interrotte e altre stentino a trasformare gli intenti in realtà è ulteriore materia di riflessione che ci riguarda tutti, senza alibi o ricorso a capri espiatori.

Caro direttore, è per queste ragioni che chiedo a “Repubblica” di voler favorire non l’ennesimo dibattito centrato sui partiti o, peggio, sulle ambizioni o i limiti di questo o quel leader. Non è più accettabile affrontare le prossime prove di democrazia – le elezioni europee, il rinnovo del governo regionale e di quello della città di Napoli – senza che vi sia una seria, informata riflessione pubblica sul posto del Mezzogiorno nei cambiamenti che oggi interrogano l’Europa e il Mediterraneo e sulla situazione di crisi drammatica alla quale dobbiamo reagire. Una riflessione lontano da ogni demagogia, svolta a più voci, aperta, documentata, anche aspra se necessario ma “di merito” può contribuire a suscitare un vero sussulto politico, “un’agenda per il riscatto” credibile.