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Il Rosatellum in Veneto sarà una batosta per il Pd

La simulazione dell’istituto Ixè: al centrodestra dovrebbero andare 17 seggi su 19 alla Camera e 8 su 9 al Senato. Out anche il M5s

di Roberto Weber
4 minuti di lettura

PADOVA. Dalle elezioni ci separano quattro mesi, il quadro delle alleanze fra i partiti è ancora da definire, in alcuni casi non è nemmeno chiaro chi saranno i leader delle coalizioni e naturalmente non sappiamo quali accelerazioni e quali svolte potrà portare la campagna elettorale.

Tutto ciò rende le proiezioni per Camera e Senato, necessariamente “precarie” e suscettibili di cambiare nel tempo. Esse tuttavia mantengono la loro validità, proprio perché costituiscono un utile punto di partenza a cui fare riferimento e perché in larga misura riflettono il rapporto di forze odierno fra le coalizioni.

Vale la pena quindi di “sospendere l’incredulità” e di immergersi nelle conseguenze politiche della legge elettorale che il Parlamento ha varato, il cosiddetto Rosatellum, in onore del capogruppo Pd alla Camera dei Deputati – e mio illustre concittadino – Ettore Rosato.

La nuova legge elettorale è un mix fra proporzionale e maggioritario con collegi uninominali. Si tratta di una legge che spinge necessariamente i partiti a coalizzarsi e che quindi tende a premiare – per circa un terzo dei collegi – chi mette in campo la coalizione più ampia.

Come si può vedere dalla simulazione, questa condizione favorisce in modo abbastanza netto il centro-destra che alla Camera conquisterebbe 270 seggi e al Senato 135, staccando in maniera piuttosto netta il Movimento 5 Stelle e la – per ora esigua – coalizione raccolta intorno al Partito democratico.

In base ai dati odierni, il centro-destra si affermerebbe nella quasi totalità dei collegi uninominali del Nord e in buonissima parte di quelli del Centro-Sud. Al Partito Democratico andrebbero i due terzi dei collegi delle regioni “rosse”, con il Movimento 5 Stelle relativamente tonico nelle stesse aree e piuttosto robusto nel Centro-Sud.

Si tratterebbe quindi, in un contesto tripolare, di un’affermazione del centro-destra, che per molti versi richiamerebbe quella del 1994, quando la tenaglia rappresentata da FI e Lega al Nord e FI e An al Sud fece arenare la “ gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto.

A riguardo mi sia consentito un piccolo aneddoto. Nel febbraio di quell’anno, il Pds commissionò una ricerca di tipo qualitativo all’istituto in cui allora lavoravo. Gli esiti erano netti: la coalizione messa in campo da Silvio Berlusconi risultava più credibile e più convincente rispetto alla quasi totalità dei temi in agenda. In quel caso, il responsabile della campagna elettorale del Pds osservò – con una leggera punta di commiserazione per gli autori dello studio – che comunque tutto sarebbe cambiato nei “duelli” personali nei collegi, sottintendendo che la classe dirigente di sinistra si sarebbe rivelata superiore a quella di destra.

Anche nel caso odierno, considerando i numerosi collegi “incerti” in cui la differenza fra le coalizioni è di meno di 5 punti percentuali, vedo riaffiorare la stessa presunzione e la stessa sottovalutazione del peso dei voti ai partiti.

In buona sostanza, sul Pd si riverberano le nefastissime conseguenze del “principio di autosufficienza” - che già molti lutti recò ad Achille Occhetto, Francesco Rutelli e Walter Veltroni - e che Renzi ha lungamente inseguito nel corso di questi ultimi quattro anni. Potrebbe infine essere di scarsa consolazione anche il limitato risultato raggiunto dagli scissionisti di Mdp uniti ad altre realtà di sinistra (complessivamente 25 seggi alla camera e 8 al senato).

Pesa inoltre – assai più che negli anni passati – l’altra stella polare dell’universo Pd: l’idea cioè che il leader e il suo carisma, possano da soli ovviare alla fisiologia stessa del voto. Se infatti guardiamo a come si distribuirebbero seggi e consensi, ritroviamo immediatamente un tracciato antico, qualcosa che nel trascorrere del tempo, ci porta indietro agli anni fondativi della repubblica e che d’Alema (e con lui Foa nel bellissimo “La mossa del cavallo”) ha condensato in una battuta: «L’Italia è un paese moderato e la sinistra è minoranza».

IL QUADRO IN VENETO

Un tracciato antico che pare riaffiorare anche con maggior forza se guardiamo a quelli che potrebbero essere gli esiti delle elezioni politiche in Veneto, nel maggioritario.

Alla Camera il centro-destra conquisterebbe 17 seggi su 19 e 8 su 9 al Senato. Colpisce che in entrambi i casi i collegi “incerti” siano pochi, quasi a lasciare pochi dubbi sull’esito della competizione. In realtà il dato non deve stupire: nel 2001 alla Camera il centro-destra portò a casa 30 seggi su 37 e nel 1994 addirittura 36 su 37.

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In un solo caso – nelle elezioni del 1996 – l’allora centro-sinistra riuscì a prevalere di poco grazie alla corsa in solitudine della Lega Nord, che sottrasse pesanti consenti alla coalizione di Silvio Berlusconi. Se così fosse, considerando anche il vantaggio nel proporzionale, il Veneto si confermerebbe uno dei “granai” di consenso per il centro-destra, come del resto lo fu per la Democrazia Cristiana nella Prima Repubblica.

Il Pd vedrebbe incrinato ulteriormente il suo già debole radicamento, pagando prezzi forti, anche in aree che tradizionalmente lo vedevano competitivo. Il Movimento 5 Stelle dal canto suo, subirebbe – come già in passato – l’egemonia della Lega su quel terreno che preferiamo chiamare della “rancorosità sociale” piuttosto che “populismo”, ma alla fine mostrerebbe un profilo di crescita, come testimoniano i numerosi piazzamenti al secondo posto nei collegi uninominali.

Guardando alla geografia del voto con le lenti attuali, immaginiamo che l’unica possibilità del Partito democratico di riprendere consensi, passa da una vigorosissima apertura al mondo delle liste civiche, ove ciò si rivela possibile, ma anche un’operazione di questa natura – oltre a richiedere molta generosità - appare per molti versi tardiva.

Resta infine una riflessione sulla natura della attuale legge elettorale. È indubbio che nel promuoverla i parlamentari del Pd e il suo principale firmatario Ettore Rosato abbiano in questo caso mostrato una straordinaria “generosità”: al Paese serviva una legge elettorale e loro non hanno badato agli interessi di bottega, gliel’hanno data! Resta però il retropensiero per cui, forse, in qualche caso, in certi passaggi stretti per il paese, è bene pensare anche alla “bottega” o alla “ditta” che dir si voglia, la politica – mi raccontano – è fatta così. A vedere l’attuale simulazione, sembra invece che la “bottega” l’abbiano proprio trascurata!

Ma in fondo anche questo non è grave: ditte e botteghe aprono, chiudono e magari riaprono da un’altra parte.

Nota metodologica. La simulazione Ixè è stata effettuata a partire dal confronto tra i risultati delle ultime politiche e le stime di voto elaborate dal nostro istituto la scorsa settimana. Sulla base delle ipotesi coalizionali attualmente in campo, sono state proiettate le variazioni rilevate a livello nazionale sui singoli collegi uninominali, considerando la mappa provvisoria ancora al vaglio. Ixè ha quindi analizzato per tutti i collegi il distacco tra la coalizione che otterrebbe il risultato migliore e la seconda, classificandoli come: certi, nel caso in cui il vantaggio è maggiore del 20%; probabili, se il vantaggio è compreso tra il 10% e il 20%; contendibili, quando il distacco oscilla tra il 5% e il 10%; incerti, ove prima e seconda classificata siano sostanzialmente appaiate.



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