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«Liberazione, gente impazzita di felicità»

Mario Bonifacio, 90 anni: sono entrato in clandestinità giovanissimo, la forza della Resistenza è stato il consenso

di Lieta Zanatta
2 minuti di lettura

MESTRE. È sempre più raro trovare un testimone diretto della Resistenza, ed è per questo che è stato prezioso l’incontro “Il significato del 25 aprile. La storia raccontata da un protagonista” con il partigiano mestrino Mario Bonifacio qualche giorno fa al centro Civico di Bissuola. Un incontro organizzato dal Comitato spontaneo dei cittadini del Parco Albanese-Bissuola e dall’Anpi.

Mario Bonifacio, 90 anni portati splendidamente, ha parlato non solo di alcuni episodi che hanno caratterizzato la Resistenza in terraferma, ma ha saputo ben descrivere i vari sentimenti diffusi tra la popolazione del veneziano durante la guerra, prima e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e fino al 25 aprile del ’45, descrivendone la genesi all’interno del contesto storico che ha visto la nascita e la caduta del Fascismo.


Da storico, Mario ha spiegato di come la cultura militaresca avesse segnato il Ventennio fin dalle scuole, con materie che prevedevano anche esercitazioni ginniche o con armi finte, e la propaganda che spingeva un nazionalismo che esaltava la prevaricazione di altre nazioni. «Ero a casa con la polmonite e sotto le finestre sentivo sfilare dei ragazzi che gridavano “Viva la guerra!”. Se non fossi stato male, probabilmente sarei stato lì con loro» spiega con onestà intellettuale.

Ma durante il conflitto un vicino di casa gli presta dei libri di filosofia assieme al Manifesto di Marx, e così Mario inizia a farsi idee diverse dal pensiero unico imperante. In più, il fratello più grande combatte sul fronte albanese e gli riporta tragiche versioni di fatti che non sono quelli riportati dalla propaganda.

Entra così in clandestinità giovanissimo. Intanto nel 1943 iniziano nella Penisola gli scioperi operai, le disfatte italiane sul fronte russo e quello nordafricano non si possono più nascondere e tra la popolazione serpeggia il malcontento.

«La notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943 rese la gente felice, si festeggiava la fine delle privazioni. Finalmente i tedeschi, malvisti, sarebbero tornati a casa loro. Solo qualcuno dubitava che le cose potessero anche peggiorare. Al mattino il tragico risveglio, con i tedeschi che avevano bombardato una nave a Trieste e il giorno dopo erano già arrivati a occupare Mestre, mentre il nostro esercito era allo sbando. I militari che rientravano verso casa erano aiutati e nascosti dalla gente. E questa è già Resistenza» spiega Mario.

I tedeschi occupanti sono spietati, ingenerano nella popolazione sentimenti ostili. «La forza della Resistenza è stato il consenso della gente» incalza. Un giorno i tedeschi andarono nei cantieri Breda per prelevare e deportare degli scioperanti e invece scapparono grazie a un fortuito (in quel caso) bombardamento.

«Sono stato fortunato due volte» spiega ancora «Prima perché non sono mai stato arrestato: avevo il terrore che avrei parlato sotto tortura, poi per non aver mai dovuto usare la pistola. Un compagno una volta fu fermato da un tedesco che gli chiese i documenti: lui tirò fuori la pistola e gli sparò. Quando lo incontrai, dopo 50 anni, mi disse di avere sempre davanti il viso di questo giovane soldato che aveva ucciso. È la guerra, gli avevano detto, è stata legittima difesa. Sì, dice, ma quella vita l’ho fermata io».

Quando parla del 25 aprile Mario finalmente sorride: «La gente era impazzita dalla felicità. Lo spiega bene un soldato dell’esercito neozelandese che annota nel diario di come, arrivato a Mestre, avesse visto come da nessun’altra parte la popolazione che esultava e festeggiava la liberazione».

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