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Dalla Camera alla Metro di Marghera: «La politica non è a vita»

Mognato, neo addetto alle vendite, torna a lavorare dopo 18 anni: «Guadagno 1.250 euro al mese, ma prima lavoravo 14 ore al giorno»

di Marta Artico
3 minuti di lettura

MARGHERA. Fino a poco tempo fa era sempre in treno, su e giù a Roma, senza orari, con una fitta scaletta di impegni. Oggi Michele Mognato, 56 anni, fuoriuscito dal Pd e confluito un anno fa nel gruppo Leu, è tornato a vestire la maglia della Metro di Marghera, addetto alle vendite nel settore no food. Da parlamentare a impiegato di quarto livello con contratto del commercio e uno stipendio di 1250 euro al mese.



Quanti anni ha passato in Parlamento?

«Sono entrato nel 2013 con Italia Bene Comune di Bersani, ho vinto le primarie e sono rimasto parlamentare fino al 2018. Terminata la carica elettiva e scaduto il mandato il 22 marzo, il giorno dopo sono andato a lavorare. Prima non ero mai tornato neanche per brevi periodi. Ero in aspettativa dal giugno 2000 a oggi mentre ero assessore, consigliere comunale, poi parlamentare. Non ho maturato scatti di anzianità».

La Metro nel frattempo è cambiata, è stato difficile trovare un settore?

«Sono andato dal direttore, ho detto che rientravo. Nel 2000 ero nel reparto vendita che oggi non esiste più; sono passato al reparto no food, che è molto piccolo. Sono un quarto livello».

È pesante?

«Sto tutto il giorno in piedi, come altri dipendenti nel mio stesso ambito. A volte sposto pesi, ma non sono in catena di montaggio e ho ancora fisico».

Ha trovato qualche collega con cui aveva iniziato?

«Siamo in 40 compresi i contratti a termine e gli stagisti, tra loro c’è ancora un pezzo di lavoratori dei miei tempi: un capo reparto, una ragazza occupata nel mio settore, tre delegati sindacali con cui ho lavorato quando ero delegato».

A proposito di sindacato. È iscritto?

«Mi sono iscritto alla Filcams Cgil il 23 marzo, in questi anni ho pagato la tessera, adesso ho la trattenuta in busta paga».

Le hanno chiesto di impegnarsi in prima persona?

«I ragazzi me l’hanno già chiesto, darò loro una mano».

La situazione è cambiata alla Metro, avevano pensato alla chiusura.

«A suo tempo ho fatto interrogazioni parlamentari contro la chiusura del punto vendita, poi c’è stato un ridimensionamento in termini occupazione e superficie di vendita».

Quanto manca alla pensione?

«Ho iniziato a lavorare il 14 giugno 1982, ho 36 anni di anzianità più il militare, due mesi come cameriere a Venezia e un mese e mezzo come stagionale alle Poste. In questi anni mi sono pagato i contributi da lavoratore dipendente e facendo due calcoli dovrei andare in pensione a fine 2025 a 64 anni. La legge Fornero è il primo argomento di cui si parla al lavoro e di cui mi chiedono quando entro sapendo chi sono e di cosa mi sono occupato».

Com’è la situazione del lavoro dopo vent’anni?

«Non sono un marziano. La cosa che mi fa davvero arrabbiare e che vivo con molta amarezza personale è proprio il fatto che in questi anni di governo Renzi siamo tornati indietro rispetto al mondo del lavoro. Parlo di precarietà, contratti a termine, gli stagisti che fanno quello che facciamo noi e prendono 400-500 euro. La qualità del lavoro è diminuita: meno sicurezza, meno attenzione, più debolezza, paura di parlare, il sindacato è in difficoltà. E sono proprio gli errori di cui vediamo i risultati che mi hanno fatto rompere col Pd: lavoro, riforma costituzionale e scuola, sono convinto che queste siano le scelte che hanno portato un pezzo dell’elettorato a non votare centrosinistra».

Cosa fa ora?

«Passare a Leu è stata una scelta difficile, rischiosa, Leu non è ancora un partito, siamo piccoli, non disponiamo di grosse risorse. Ma quando sono uscito dal Pd sapevo che rischiavo di più. Leu è un mondo più piccolo e ci sono meno opportunità. Tanti son tornati a lavorare, anche del Pd».

La gente la riconosce?

«Qualcuno sì, altri non ricordano che lavoravo lì. C’è chi rimane stupito perché è convinto che la politica significhi avere un posto per la vita, c’è chi è contento di vedermi lavorare, chi ti rispetta a prescindere da come la pensi politicamente. Sono fortunato ad avere un lavoro».



Guadagna molto meno di prima però.

«Sì, ma versavo sempre 2.500 euro al mese al partito, 1.500 a Roma e 1000 a Venezia, prima al Pd, poi a Leu».

È stata dura tornare alla vita normale?

«E stata una cosa forte, 18 anni sono tanti. L’impegno politico è sempre stato pieno, molti non ci credono ma lavori 14 ore no stop, non stacchi mai. Qui quando esci finisci e basta».

E cosa fa dopo il lavoro vero?

«Politica. Sono uscito dal Pd a marzo dell’anno scorso, da un anno sono passato a Leu e lavoro a questo progetto».

Quali obiettivi a medio termine?

«Ci diamo da fare per costruire un’alternativa per le amministrative 2020, compiti per casa ne abbiamo tanti».

Si lavora al dopo Brugnaro?

«Bisogna lavorarci e crederci. Vogliamo costruire un progetto Leu a livello nazionale, ma anche un’alternativa all’attuale amministrazione per chiudere questa pagina e riportare al governo un’area civica e progressista, cerchiamo di dar vita a un’alternativa competitiva a questa amministrazione e che crei consenso. Io ci sto lavorando, nel merito e come persona».



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