Albania: la perdita del “sogno” europeo

La presenza politica dell’Albania nel contesto internazionale, ha seguito un processo storico che ha percorso pedissequamente eventi politici di levatura europea. Shqipëria, nome con cui veniva chiamata anticamente nella lingua arbëreshe la terra albanese, è stata solo in pochi casi attore e artefice degli eventi storico–sociali che hanno interessato quest’area, confinate con l’occidente europeo, ma ideologicamente collocata molto distante. Nonostante la posizione geografica che la pone al centro dell’Europa, l’Albania ha attraversato lunghi periodi nei quali è piombata nell’oblio delle memorie storiche e nel disinteresse internazionale. Gli eventi storici hanno condotto, nell’arco dei secoli, alla strutturazione sia sociale che nazionale della società albanese, che fu distinta da un temperamento equilibrato e da un senso dell’appartenenza sempre più rilevante. L’avvento al potere, nei primi anni del XV secolo, della famiglia Castriota (Scanderberg) segnò per il popolo albanese l’apice dell’espressione della propria nazionalità, infatti: un re albanese, in un territorio ben definito e una società unita sotto la religione cristiana omogeneamente distribuita, costituivano la struttura portante di questa dinamica etnia. Quello che si può affermare è che finché visse Castriota (1405–1468) l’Islam, nonostante l’euforia motivata dalla conquista di Costantinopoli avvenuta nel 1453, non poté completare l’obiettivo di “sbarcare” in Italia. Infatti, solo dopo la morte di Scanderberg, si aprì un varco nel territorio Albanese, che portò, nel 1480-81, gli ottomani ad occupare e saccheggiare Otranto e massacrare gli idruntini, solo la morte di Maometto II (1432-1481), impedì all’Islam di dirigersi verso Roma.

L’occupazione islamica chiuse l’Albania all’Occidente fino alla dichiarazione di indipendenza e alla formazione di un governo provinciale guidato da Ismail Qemali (1844-1919). Il passaggio successivo, intervallato da una breve ma violenta presenza della Wermacht nel territorio albanese, porta al 1945 e fino al 1991 ad una delle più peculiari, repressive e alienanti dittature di impronta marxista che l’Occidente abbia mai conosciuto. Enver Hoxha, Ramiz Alia, Sali Ram Berisha e l’attuale Presidente Ilir Rexep Meta, ognuno nel proprio contesto politico, hanno caratterizzato un l’Albania sociologicamente di disequilibrata, affetta spesso da aspetti corruttivi diffusi e da interessi internazionali frequentemente non costruttivi.

Tuttavia, ciò che succede adesso in Albania va letto in un contesto molto più ampio. Indipendente da chi sarebbe stato in questo momento al governo, il centro sinistra d’ispirazione europea di Edi Rama, o il centro destra di Lulzmi Basha che cerca di svincolarsi dall’ombra di Sali Berisha, l’ago della bilancia o la vera miccia della situazione è l’esplosiva attuale difficile condizione economica. Un economia molto lontana dall’autosufficienza e fortemente condizionata dalle rimesse degli immigrati, prevalentemente provenienti dall’Italia e dalla Grecia, ha risentito del duro colpo derivato dalla drastica riduzione di tali rimesse, conseguenza della lunga crisi di questi due paesi; inoltre la recessione dell’intera Europa, ha in più occasioni, anche messo in forte discussione l’adesione dell’Albania all’Ue. L’entrata nell’Unione è stata sbandierata come elemento elettorale principale da tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi dodici anni, e verrà sfruttato certamente da tutti i governi che seguiranno fino al compimento dell’adesione. Tuttavia quello che si sta ravvisando, come una novità del panorama sociale albanese, è anche un indebolimento della speranza degli albanesi che l’entrata nell’Ue possa migliorare la loro condizione globale in un mercato dove loro entrano molto deboli.

L’indebolimento di un sogno e la difficile condizione economica rendono manifesta e violenta una diffusa insoddisfazione che ha accompagnato gli ultimi ventotto anni di una abnormemente lunga transazione, caratterizza dalla nascita di un capitalismo a tratti predatorio con il declino della partecipazione intellettuale a livelli decisionali della società ed una emigrazione continua. E di nuovo, anche questa volta, i primi che si sono mobilitati in modo decisivo ma pacifico sono stati gli studenti universitari, purtroppo già parzialmente annichiliti dagli “opportunisti”, alla ricerca di un radicale miglioramento delle condizioni delle università pubbliche, consci, e forse gli unici veri consapevoli di tale visone, che solo lo studio e l’educazione sarebbero in grado di gettare le basi di una società albanese regolarmente costituita, ricordando che perdere un sogno e molto più drammatico che perdere i soldi.

Aggiornato il 19 febbraio 2019 alle ore 11:53