L’Isola delle Bestie: “Le Isole Mirabili” di Angelo Arioli: i demoni, la loro descrizione, e le creature di Hieronymus Bosch

Dall’Isola Combusta siam giunti all’Isola di Ǧāšk sino alle Isole Mobili, riprendiamo dunque la nostra navigazione metafisica ed incontriamo altre due isole tratte da “Le Isole Mirabili ‒ Periplo arabo Medievale” di Angelo Arioli, pubblicato dalla casa editrice Giulio Einaudi Editore nel 1989. Di seguito potrete addentrarvi nei racconti di Ibn Wasīf Shāh, e di al-Idrīsī

Le Isole Mirabili di Angelo Arioli

“Costoro hanno ali, capelli e sottili proboscidi. Camminano su due e su quattro piedi, volano e tornano all’isola. Sono antichi demoni, dicono.” ‒ “L’Isola dei Rud”  Ibn Wasīf Shāh

“V’è qui gente con fattezze di donna, coi canini sporgenti, gli occhi sfolgoranti, le cosce qual legno combusto, che parlano incomprensibile linguaggio e si battono con le bestie del mare. La sola differenza tra uomini e donne sta in vulva e membro, e in null’altro. Imberbi sono gli uomini, vestono foglie d’albero. – “L’Isola delle Diavolesse” al-Idrīsī

Gli antichi, specie gli egizi, i persiani e i babilonesi, avevano popolato di mostri, di belve, di animali il loro pantheon e i loro cieli. Il “mostro”, non necessariamente né completamente assimilabile alla belva selvatica come ad esempio il leone, la tigre etc., poteva essere il risultato di un’anomalia della natura, il segno di un fatto straordinario, la testimonianza d’un’irruzione del divino nella sfera dell’uomo; non a caso, per questo, esso non era alla portata dell’esperienza immediata dell’uomo e del navigante arabo medievale. Spesso, il mostro era isolato in un mondo “altro”, diverso per natura e per qualità rispetto a quello abitato dagli uomini: poteva risiedere nei cieli, negli abissi marini, nel ventre della terra, in paesi lontani, e… nelle isole.

La lingua araba, tuttavia, non possiede un termine, né elabora una categoria che abbia un qualche parallelismo con la nostra accezione di “mostro”, raggruppante nella categoria dei “mostrati” per difformità “uomini”, “animali”, o tutte le altre varietà che per reciproche contaminazioni ricadono fra questi due poli. Questa mancanza linguistica, obbliga di volta in volta a definire il “mostro” come “animale”, “demone”, sia pure di umane fattezze, o a una descrizione per ciò che sfugge alle due altre classificazioni.

L’ estraneità all’esperienza quotidiana del demone, o del mostro, nelle culture politeistiche, non era affatto argomento che potesse servire a porre in dubbio la sua esistenza, in quanto egli era anzitutto un segno, il testimone di una realtà diversa da quella dell’uomo. inoltre, un filo tenace legava il mostro, la belva e il dio. L’umano, il divino, il demoniaco, l’inumano si incontravano e si fondevano continuamente; e se ciò non accadeva nel sistema mitologico-religioso greco-romano, in quanto profondamente antropomorfìco, il tema della metamorfosi introduceva anche in esso una correzione che ricollegava l’uomo, il dio, il demone e la belva.

Ne consegue che l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam, le tre grandi culture monoteistiche sanciscono nei confronti del mondo animale un’estraneità più profonda. Mostri, belve e animali alimentano l’immaginario demoniaco, ma al tempo stesso passano sotto il velo dell’allegoria a far parte dello stesso tessuto religioso, o prolungano la loro presenza culturale antico persiana, per popolare delle loro immagini il pensiero allegorico e morale del mondo.

Li ritroviamo nel racconto “L’Isola dei Rud: di questi demoni non sono riuscito a trovare molte informazioni, se non alcuni riferimenti citati dallo scrittore, storico dell’arte, e diplomatico lituano Jurgis Baltrušaitis in “Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica”, in cui li interpreta come demoni cinesi e Ganesa-genii con testa d’elefante. Tutto ciò non fa che riportarmi alla mente le immagini dell’India brahanica, ma se trasponiamo nell’arte tardo medievale occidentale il tema, non posso non associarlo al Trittico del Carro di Fieno di Hieronymus Bosch, in cui la rappresentazione della Vanità, come testimonia la coda di pavone di cui è provvista, suona una tromba, sottile prolungamento del suo stesso naso/proboscide, la quale, con la sua dolce musica, rappresenta l’adescamento suadente al peccato, appollaiata sopra il Carro di Fieno che marcia irrefrenabile verso l’Inferno, nel pannello centrale del Trittico.

Trittico del Carro di Fieno di Hieronymus Bosch

Il quadro merita di essere attenzionato per le analogie con la figura del nostro navigante dell’isolario: nei pannelli laterali chiusi è dipinta un’unica rappresentazione: si tratta di un personaggio che si incammina solitario mentre intorno a lui succedono vari “fattacci” come la rapina di un viandante, un’impiccagione, sullo sfondo, tra simboli di peccato e di morte. L’uomo impugna un bastone col quale scaccia un cane rabbioso. Si tratta di un viandante che si incammina sulla via dell’esistenza, resistendo alle lusinghe dei peccati e guardandosi dalle malvagità e dalle tentazioni, come la coppia di pastori che balla alla musica di un corno suonato da un compare, simboleggiante la lussuria. Altri studi dimostrano che questa figura può rappresentare la Via del Matto, la quale essenzialmente è la via dell’esperienza, con cui si entra nel regno della materia, per contemplarlo nel profondo e scoprirne i suoi segreti. Percorrere la Via del Matto è come navigare in un oceano sconosciuto. La Via del Matto è la via del viaggiatore solitario in cammino verso l’iniziazione. L’immagine arcana più antica di questo Matto errante è quella raffigurata nelle prime carte dei tarocchi, apparse in Europa nel XV secolo.

Voltiamo la carta, riprendiamo a navigare, e passiamo ai Jinn: i genii, ovvero ai demoni della cultura islamica, di cui è protagonista la nostra seconda isola, narrata da al-Idrīsī. Secondo l’illustre geografo della corte di Re Ruggero, essa si trova nel clima terzo, e il termine con cui Angelo Arioli traduce “diavolesse” è “al-sa’ālī”: le maghe.  Ci viene qui in aiuto il magus copto Ibn Wasīf Shāh, che cita il termine al-sa’ālī in un paragrafo dedicato ai Jinn, in cui descrive le loro caratteristiche:

“[…] le quali assumono sembianze di belle donne, e sposano uomini. Un tale sposò una di queste, dalla quale, dopo anni di matrimonio, fu abbandonato in una notte in cui s’udivano in lontananza gemiti di donne e si vedevano brillare fuochi; lasciò la casa, i figli, il marito, spiccò il volo e più non si vide” Ibn Wasīf Shāh

La loro diabolicità è espressa ancora meglio da Zakariyya al-Qazwīnī:

“Quando la spuntano con un uomo, lo fanno ballare, e giocano con lui come il gatto fa col topo. Hanno un solo nemico, il lupo, che le caccia e le mangia, ma, sebbene inghiottite, restano vive, e continuano a urlare promettendo in cambio di soccorso ben cento denari. Nessuno però le aiuta.” al-Qazwīnī

I Jinn sono creature soprannaturali della cultura preislamica e musulmana. Quasi sempre associati ad un carattere maligno, sono spesso presenti nei racconti e nelle leggende mediorientali e sono una presenza costante nel libro “Le mille e una notte”. Anche il genio che esce dalla lampada di Aladino, racconto tratto appunto da Le mille e una notte, è un Jinn.

Il Corano fa risalire la loro creazione, grazie ad Allah, all’inizio dei tempi e afferma che sono creature nate dal fuoco al contrario degli umani, nati dalla terra, e degli angeli, nati dall’aria.

Uno dei loro poteri è quello di cambiare forma, potendosi trasformare non solo in oggetti o piante ma anche in animali e addirittura assumere le sembianze di esseri umani, per raggiungere i loro scopi. I Jinn possono però anche possedere le persone, proprio come i demoni nella religione cristiana. Lo scopo della possessione, secondo alcuni, sarebbe quello di far adorare alle persone degli idoli e non Dio, facendoli così cadere nel peccato.

A formare il complesso mondo demoniaco della cultura araba tardo antica confluirono due diverse tendenze. Quella scientifica e razionalizzante avviata da Aristotele, seguita anche nel mondo arabo, grazie alla tradizione culturale della Biblioteca di Alessandria, e quella magico-astrologica, secondo la quale il cosmo era intessuto di occulti rapporti che collegavano gli astri, gli animali dell’aria, della terra e dell’acqua, le piante e le pietre. Su questi modelli si sviluppò la “zoologia immaginaria” del Medioevo, tanto arabo quanto occidentale, dalla vasta produzione enciclopedica nata tra VII e XII secolo all’atteggiamento “prescientifico” del Duecento. Pur nella pluralità degli stili e nella diversità delle fonti, questo genere letterario non costituisce affatto un coacervo disordinato di fantasie, ma conserva una sua coerenza, per cogliere la quale è necessario decodificare il linguaggio.

Carl Gustav Jung

Nella moderna psicologia, Carl Gustav Jung spiega i demoni in termini di inconsce forze psichiche e parla dell’“essere posseduti”, come di un particolare stato della mente in cui certi contenuti psichici, i cosiddetti complessi, prendono il controllo dell’intera personalità al posto dell’Io, anche se temporaneamente, al punto da superarne la volontà. Dunque sono i complessi, che danno una forma agli archetipi e sono i punti nodali della vita psichica. Sono proprio questi i nostri demoni, come lo erano in antichità. I complessi sono parti della psiche che a causa di traumi o shock si sono “separati” dall’Io, e hanno assunto una vita autonoma e apparentemente indipendente. Anche se siamo inconsciamente identificati con essi, i complessi ci appaiono esterni, “demoni”, e creano dipendenza, costringendoci diabolicamente ad agire in modo contrario alle nostre intenzioni. Tutto quello con cui siamo inconsciamente identificati ci possiede e ci spinge ad agire in un modo da noi non voluto, senza capirne il motivo. Un complesso agisce come un magnete, che attrae e assimila in se stesso qualunque cosa che ha una qualsiasi relazione con esso e in tal senso un complesso può determinare il destino di un uomo. Il demone molto spesso è l’inconscia identificazione con il proprio alter-ego. Abbracciare e integrare i propri demoni è un passaggio fondamentale per lo sviluppo della personalità e può avvenire portandoli alla coscienza, sminuendone in questo modo il carattere di autonomia. Paradossalmente essere posseduti da un demone è la cosa che fa di noi degli “eroi”. È per lottare il demone che si attivano l’eroe e i poteri creativi latenti. Proprio il demone è fonte di creatività. L’eroe infatti si attiva per reintegrare il demone (sconfiggendolo simbolicamente) e ristabilire l’equilibrio, integrando il proprio opposto. Differenziandoci dall’archetipo lo rendiamo conscio e solo così, vedendolo come altro da noi stessi, come una entità autonoma, possiamo non cadere nella sua trappola ma possiamo integrare e canalizzare il suo contenuto e la sua energia.

Elaborazioni culturali, mentali, o presenze reali che siano, i demoni sono sempre e comunque “segni”: non ha, quindi, molto senso, nell’analisi della letteratura, distinguere il mostro dall’animale reale, non serve a nulla osservare che gli unicorni e le sirene non sono esistiti mentre il leone, la tigre, il lupo, l’orso sì.
L’uomo medievale non ragionava secondo categorie di questo tipo. Nel senso dell’uso allegorico che se ne faceva, l’unicorno e la sirena gli erano culturalmente familiari quanto il lupo e l’orso, ma anche quanto il cane o il cavallo. Ed è questo diverso modo d’intendere la realtà che dobbiamo comprendere: questo è il “disincanto” che bisogna realizzare rispetto alle radici del nostro Immaginario. Le enciclopedie, i trattati, infine quegli specifici scritti che vanno sotto il nome di “bestiari” ci danno il quadro delle conoscenze scientifiche del tempo e del significato etico-etimologico che si attribuiva loro.

I mostri e i demoni incontrati lungo la nostra rotta, in queste due isole, non sono tuttavia produzione originale della cultura islamica, ma una ennesima e particolare rielaborazione di varia provenienza orientale e persiana, che conservano le caratteristiche di collocare il “mostro” nel luogo più propizio per il mirabile e per l’immaginario del lettore che naviga, ossia l’universo chiuso dell’Isola. Essendo l’isola quel luogo in cui il meraviglioso esiste al di fuori delle leggi comuni della terraferma, essa è il luogo dell’arbitrario.
In terra di Persia, il mirabile può essere cercato nei cieli, nella terra, nei mari di cui non si conoscono le sponde, di cui si ignorano inizio e fine. In altre parole, nel Creato.

“E se nelle tue meditazioni incontri un demone, invitalo a meditare con te.” Georges Ivanovič Gurdjieff

 

Le Isole Mirabili ‒ Periplo arabo medievale” raccoglie un inventario di mirabilia tratti da diversi autori arabi, sotto forma di isolario. Un periplo da Oriente a Occidente scandito dall’apparire all’orizzonte del navigante di isole più o meno reali o metaforiche, viste, immaginate e raccontate da mercanti e viaggiatori i quali, nell’universo chiuso dell’isola, evocano proiezioni e fantasie immaginarie. Nella prefazione l’autore, docente di lingua e letteratura araba presso il Dipartimento di Studi Orientali della Facoltà di Lettere dell’Università di Roma La Sapienza, mette subito le mani avanti, specificando che la sua traduzione dei testi “non è che una traduzione”, e che da un traduttore all’altro ogni traduzione, per quanto “bella e fedele, è tuttavia diversa”. Le traduzioni di un testo sono molteplici ed infinite, come infiniti sono i punti di una circonferenza, connessi da infiniti raggi ad un unico centro, ovvero il testo nella sua lingua originale.” Ogni traduzione, ha un legame col testo originale, e ad esso conduce e ne è una lettura, ma non coinciderà mai con l’originale. Spiega l’autore:la coincidenza si avrebbe se fosse possibile realizzare, e non solo immaginare, un cerchio il cui centro si trova su ogni punto della circonferenza.” Il testo si divide in tre parti: nella prima, la traduzione dei racconti, nella seconda un commentario agli stessi con un tentativo di localizzazione geografica delle isole ed una interpretazione dell’autore sui racconti stessi, ed infine una terza parte più biografica sugli autori citati.

Ibn Wasīf Shāh

Di questo autore ho rinvenuto scarsissime notizie, presumibilmente attivo in Egitto attorno all’anno 1000, di matrice culturale copta, gli è stato attribuito il libro Mukhtasar al-‘aga’ib “Il compendio delle meraviglie”, Le cui tre copie son conservate presso la Bibliotheque Nationale di Parigi, e da cui Arioli ha estratto le storie delle Isole Mobili.
Il termine “compendio” fa supporre che ci si trovi davanti all’opera di rielaborazione di uno scrittore sedentario, più che di un viaggiatore. Le stesse relazioni del mercante Sulayman e del Capitano Buzurg erano già note in precedenza, e vanno a ravvivare un genere letterario incentrato sul meraviglioso. Assieme alle descrizioni delle merci che giungono dall’India e dalla Cina, il libro narra degli usi, stranezze e prodigi disseminati nel mondo, da un Dio creatore, a ennesima riprova della sua onnipotenza sul creato, il libro non raccoglie più i resoconti di terre lontane frammentari e provvisori, ma denota un impianto stilistico che fa supporre ben altri intenti da parte di questo misterioso autore.
Nella prima parte, vengono narrate le meraviglie del creato, in uno stile cosmografico enciclopedico, seguendo le opinioni di altri autori in voga sul tema della cosmographia. Nella sezione dedicata all’Oceano e alle sue meraviglie, troviamo uno dei massimi esempi di isole “meravigliose” reperibili nella letteratura araba.
Nella seconda parte del libro, diventa evidente che la prima parte non è altro che una preparazione a questa, che continua a trattare di mirabilia, ma unicamente riferite all’Egitto.

“Nel mirabile creato, il posto più mirabile spetta all’Egitto”  Ibn Wasīf Shāh

al-Idrīsī

al-Idrīsī – Probabile ritratto

al-Idrīsī nacque nella nobile famiglia maghrebina degli Hammudidi, che sosteneva di discendere dagli Idrisidi, la prima dinastia musulmana che governò autonomamente il Maghreb al-Aqsa (l’odierno Marocco), i quali sostenevano di discendere dal profeta Maometto. al-Idrīsī nacque nella Ceuta almoravide, dove il suo bisnonno era stato costretto a stabilirsi dopo che in al-Andalus (Spagna islamica) gli Hammudidi erano stati sconfitti dagli Ziridi, che presero il controllo di Malaga. Trascorse buona parte della sua vita viaggiando tra il Nordafrica e al-Andalus, acquisendo informazioni dettagliate su entrambe le regioni. Visitò l’Anatolia all’età di 16 anni. I suoi viaggi lo portarono in molte parti d’Europa, tra cui la Grecia, Creta, Rodi, il Portogallo, i Pirenei, la costa atlantica francese, l’Ungheria, e York, in Inghilterra, stabilendosi a Palermo attorno al 1145, alla corte di Ruggero II di Sicilia.

“Tu discendi dalla famiglia dei Califfi, se abiti in un paese musulmano il sovrano ti detesterà e procurerà d’ucciderti. Resta, dunque, nel mio regno, ed io mi curerò di te” – Lettera di Re Ruggero ad al-Idrīsī

Rimasto a corte, prosegue Re Ruggero in una seconda lettera:

Vorrei una descrizione della Terra, fatta tramite diretta osservazione, e non seguendo i libri.”

Nel 1154 al-Idrīsī realizzò un planisfero per Ruggero, detto Tabula Rogeriana, la quale è una delle più avanzate mappe del mondo medioevale. L’originale era inciso su una lastra d’argento, andato perduto perché fuso dopo esser stato predato in occasione d’una sommossa contro il sovrano normanno Guglielmo I di Sicilia nel marzo del 1161.
Oltre alle mappe, al-Idrīsī compilò un compendio di informazioni geografiche con il titolo Kitāb nuzhat al-mushtāq fī ikhtirāq al-āfāq : Il libro del piacere di chi anela varcare gli orizzonti, meglio noto come Il libro di Ruggero.

Di lui ci resta anche un’opera farmacologica, il De omnibus herbis.

Morì in Sicilia o forse a Ceuta nel 1165 circa, le fasi finali della sua vita non sembrano essere del tutto chiare, secondo Francesco Giunta infatti, Idrisi sarebbe fuggito dalla Sicilia dopo i programmi anti-musulmani del 1160.

 

Info

La foto in rilievo partecipa del quadro “Trittico del Carro di Fieno” e di due isole dell’arcipelago delle Seychelles.

Rubrica Le Isole Mirabili

 

2 pensieri su “L’Isola delle Bestie: “Le Isole Mirabili” di Angelo Arioli: i demoni, la loro descrizione, e le creature di Hieronymus Bosch

    1. Molte Grazie. È una tematica che merita di essere esplorata, ma purtroppo non è facile reperire le traduzioni in italiano o in inglese.
      Claudio Fadda.

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