Bonagia, una strada intitolata a Mico Geraci «Malavita si sconfigge con impegno corale»

«La Svizzera dei clan». Giovanni Falcone la chiamava così Caccamo, una delle roccaforti di Bernardo Provenzano e culla che ha dato i natali a Nino Giuffrè, tra i pentiti più importanti di Cosa nostra. È qui, nella centralissima piazza Zafferana, che la sera dell’8 ottobre del 1998 la mafia decide di rompere il silenzio di quello che era stato rifugio sicuro per molti boss. Almeno fino a quel momento. Lo fa a colpi di fucile, uccidendo davanti alla porta di casa e al figlio che gli aveva appena aperto, Domenico Geraci, per tutti solo Mico. Lo fa davanti a decine di testimoni. È a lui che questa mattina Palermo ha dedicato una strada a Bonagia, fino a ieri via della Giraffa. A pochi metri, nella stessa strada, c’è una scuola media intitolata a un’altra vittima di mafia, Piersanti Mattarella. Una cerimonia che si è svolta alla presenza dei tanti cittadini accorsi per l’occasione e dei familiari di Geraci, compreso quel figlio oggi adulto e padre a sua volta.

«Sono vent’anni che non sparano più a Caccamo». Aveva risposto questo all’amico e collega che, preoccupato, gli chiedeva aggiornamenti sul clima che si respirava in paese. Lo stesso amico che oggi porta avanti lo stesso impegno, Carmelo Barbagallo, segretario generale di Uil Palermo. «Ricordo benissimo l’ultima volta che l’ho visto, una settimana prima dell’efferato omicidio. Gli avevo chiesto cosa poteva succedere, alla luce soprattutto del suo impegno politico. Lui cercò di tranquillizzarmi – racconta il sindacalista -. Dopo vent’anni invece sono tornati a sparare, uccidendo una persona che meritava di sopravvivere». Si commuove, si ferma e si scusa. E appena riprende la parola, sottolinea l’importanza dell’impegno oggi e dell’aver scelto di intitolare a Geraci una strada dove sorge una scuola, luogo dove tornare a parlare coi giovani.  

«Troppo spesso si dimentica di quello che è accaduto nel passato – torna a dire -. Affiorano fascismi, razzismi, intolleranze, torniamo invece nelle scuole con l’educazione civica e il ricordo della Costituzione, a dire che la malavita non è mai sconfitta fino in fondo se non c’è un impegno corale, a partire proprio dai ragazzini. Non è mai troppo ricordare quello che è avvenuto in passato, qui come altrove». Geraci, ex consigliere provinciale del Partito popolare e sindacalista della Uil, aveva ricevuto segnali inequivocabili dai clan locali. Ma non erano serviti a fermare il suo impegno per il territorio. Candidato per la poltrona di primo cittadino, non aveva esitato infatti a fare nomi e cognomi, a denunciare gli interessi sporchi legati al piano regolatore e a tenere sotto controllo gli appalti per le opere pubbliche. Voleva un riscatto concreto per Caccamo. Un desiderio, però, che gli è costata la vita. Sono in quattro che prendono il disturbo di fucilarlo davanti al figlio, per poi dileguarsi a bordo di una Fiat Uno. 

A ricordarlo oggi anche il sindaco Leoluca Orlando, che ha parlato del «cambio culturale che si è realizzato e che si sta ancora realizzando grazie all’impegno di persone come Mico Geraci, vero partigiano siciliano che ha sostenuto la legalità dei diritti, pagando con la vita. Un esempio che ci collega a questa tradizione ed essere qui oggi a ricordarlo permette di trasformare un fatto in un impegno». Tra la folla anche il segretario generale di Uil Sicilia Claudio Barone, che ne ha ricordato con ammirazione «la battaglia per la trasparenza contro le infiltrazioni mafiose». Un valore, questo, da trasmettere alle generazioni di oggi, tramandando la storia di chi ha saputo impegnarsi per cambiare le cose. «Sono felice e allo stesso tempo emozionato per questa iniziativa – conclude il fratello di Mico, Vincenzo Geraci – In questo modo mio fratello non verrà mai dimenticato e potrà essere d’esempio per tutti noi e per le future generazioni».


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La cerimonia si è svolta questa mattina in presenza del sindaco, dei familiari del sindacalista ucciso dalla mafia nel '98 e del segretario generale di Uil Palermo Carmelo Barbagallo, che ha parlato del collega con commozione: «Ricordo benissimo l'ultima volta che l'ho visto: mi tranquillizzò, diceva che a Caccamo non sparavano da 20 anni»

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