Palermo

La sinistra è sparita perché ha voluto gestire l’esistente

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"Chi e quando ha ucciso la sinistra in Sicilia?". La domanda che pone Enrico del Mercato, nel suo editoriale di ieri, meriterebbe una riflessione attenta e articolata che certamente non potrà esaurirsi in poche righe. Oppure si può rispondere utilizzando, in modo simbolico, un nome e una data: “Achille Occhetto, 3 febbraio 1991”. In realtà, quest’ultima risposta sarebbe una semplificazione ingenerosa e provocatoria.
 
La sinistra non è stata uccisa da un colpo di pistola ma da una lunga e devastante malattia. Ma quel giorno, in cui si chiuse l’esperienza del più grande partito comunista d’Occidente, la sinistra cominciò a contrarre il virus che ne avrebbe causato la scomparsa. La sinistra italiana, da allora, ha convissuto con un’ansia di accreditamento nei confronti dei poteri forti, delle diplomazie internazionali e degli apparati dello Stato. Gli eredi dell’esperienza comunista hanno ostentato, in modo ossessivo, la loro smania di apparire forza di governo, responsabile e credibile, caricandosi una dose di subalternità politica e programmatica nei confronti dei vecchi poteri che, dopo tangentopoli e l’implosione del pentapartito, erano alla ricerca di nuovi interlocutori.

La sinistra, cosi, in modo graduale è diventata semplicemente una mera collocazione politica, una categoria geografica, una coalizione da contrapporre esclusivamente alle elezioni.La patologia della sinistra ha mostrato i primi tangibili segni quando ha scelto di abbandonare il proprio blocco sociale di riferimento, quando ha sdoganato la mistificatoria illusione di poter rappresentare contemporaneamente i lavoratori e gli imprenditori, quando ha messo sullo stesso piano i partigiani e i ragazzi di Salò. Da questa vocazione suicida discende la parabola di una sinistra siciliana che ha svenduto riferimenti sociali e la sua innata vocazione alla trasformazione, accontentandosi di governare l’esistente; di gestire, più o meno come gli altri, gli apparati pubblici; di limitarsi a una differenza nominalistica, utile esclusivamente a riprodurre ricette programmatiche fallimentari.

Oggi, dopo i disastrosi governi Lombardo e Crocetta, c’è la necessità in Sicilia di rompere definitivamente con queste esperienze; archiviare uomini e pratiche di questa triste stagione che ha consentito alle destre e ai populismi di prendere campo. È necessario ricostruire un nuovo senso alla parola “sinistra” che deve avere l’ambizione di diventare egemone, ripartendo dalle sue storiche battaglie per la scuola e la sanità pubblica, per un’equa distribuzione delle risorse economiche, per la tutela dell’ambiente e dell’acqua pubblica, per l’attenzione prioritaria ai diritti di tutte e tutti. È un dibattito che coinvolge la sinistra in tutto il mondo, tanto che le battaglie per l’equità e la giustizia sociale sembrano essere pronunciate solo da papa Francesco.

Oggi in Sicilia non c’è una divisione a sinistra: c’è semplicemente una diversità profonda tra chi vuole ricostruire una visione alternativa nella società e chi pensa che vada governato l’esistente, facendo le stesse cose della destra aggiungendo una spruzzatina di buoni sentimenti.
 
L’autore è consigliere comunale di Sinistra Comune a Palermo