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Il dibattito sulla sinistra: le sconfitte nelle urne non significano irrilevanza

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Il 24 Ottobre, sulle pagine di Repubblica, Enrico del Mercato proponeva una lettura delle (s)fortune della sinistra in Sicilia dal titolo eloquente: L’irrilevante storia della sinistra siciliana. Un declino iniziato nel dopoguerra e che troverebbe riscontro nelle urne e nella società. Molte delle analisi di del Mercato sono condivisibili specie laddove guardano ad una tendenza alla litigiosità delle forze politiche che si propongono di rappresentarla e agli alterni esiti elettorali. Il pezzo si chiude con alcune domande: quanto pesa elettoralmente la sinistra in Sicilia? E, soprattutto: a cosa si deve la sua (presunta) estinzione? Da questa ultima ipotesi interrogativa, tuttavia, mi permetto di dissentire. Provo ad argomentare.

Si, è vero, la Sinistra non ha mai governato in Sicilia con piena agibilità politica e programmatica. Laddove lo ha fatto è stata dentro esperienze “anomale” – il milazzismo, l’orlandismo – e mai attraverso un mandato pieno degli elettori. Ma a ben guardare questa è la storia della sinistra nel paese e non solo in Sicilia. Solo nelle famigerate “regioni rosse” essa ha governato a lungo, e graniticamente, sino a poco tempo fa. Ma ciò non vuol dire che la sua storia sia stata, e sia ancor oggi, irrilevante. Sebbene, anche per un insieme di ragioni storiche antiche, non sia mai stata piena maggioranza alle urne, la sinistra siciliana, quella sociale e quella delle forze organizzate – dal PCI alle lotte del sindacato – ha prodotto in Sicilia forme e qualità del cambiamento persino più importanti delle vittorie elettorali.

A sinistra nasce storicamente la più forte opposizione alla mafia ed alla sua sopraffazione sul popolo siciliano. Opposizione che ha generato in tempi successivi quel cambio di paradigma culturale che oggi, per fortuna, attraversa la società siciliana, dalle lotte alle povertà, alle battaglie sui diritti, alla straordinaria capacità di accogliere le differenze. Alla sinistra dobbiamo l’emancipazione del ceto contadino e della società siciliana che consente alle generazioni di oggi di pensarsi come un popolo cittadino del mondo, e non più come un emigrante che deve “ nesciri per arrinesciri”. Infine, nasce a sinistra, e in Sicilia, una delle più importanti esperienze di giornalismo italiano, alla cui scuola hanno imparato il mestiere alcuni tra le attuali, migliori penne del paese. Una scuola, quella di Nisticò, che nasceva “dentro” il PCI ma che di esso fu costante coscienza critica, spargendo in Sicilia il seme del pensiero libero e dell’emancipazione degli uomini e delle donne siciliane.

Un seme che ha generato frutti in una società in cui, scientemente, si è evitato che si costituisse una classe operaia ed una relativa coscienza di classe, come ben ricordava del Mercato, citando La Cavera; e in cui la forza e la violenza mafiosa hanno sistematicamente soppresso nel sangue ogni anelito di cambiamento ispirato ai valori fondanti della sinistra. La sinistra in Sicilia ha dunque parlato di libertà ad un popolo oppresso dalla cultura della sottomissione e dell’obbedienza, formando la parte migliore della classe dirigente siciliana. Cosa sarebbe ora la Sicilia senza quelle battaglie condotte nella società prima ancora che nei palazzi? Cosa sarebbe oggi la Sicilia senza il giornale L’Ora? Mettiamola così: minoritaria o massimalista, tendente all’inciucio o al “crocettismo”, non è lì che va cercata la sinistra.

Essa va cercata oggi nella capacità di scambio (e ricambio) che ceto politico e sinistra sociale sono in grado di produrre intorno alle idee di uguaglianza nelle differenze; di opportunità per tutti e tutte; di lotta allo sfruttamento di esseri umani su altri esseri umani. Diversi sismografi registrano molti segnali in tal senso, già dentro la nostra città. I segnali di una possibile, nuova, storia rilevante. Il cammino è lungo ma vale la pena di percorrerlo!