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#RepPalermo20: Palermo, una storia lunga 20 anni

Nelle edicole siciliane il 29 ottobre 1997 si perfezionò un disegno di imprenditoria illuminata: radicare un quotidiano autenticamente nazionale nelle principali città del Paese, assimilando e sviluppando la tradizione informativa e culturale migliore di ogni realtà locale
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Nelle edicole siciliane il 29 ottobre 1997 si perfezionò un disegno di imprenditoria illuminata: radicare un quotidiano autenticamente nazionale nelle principali città del Paese, assimilando e sviluppando la tradizione informativa e culturale migliore di ogni realtà locale.

Palermo e la Sicilia erano ovviamente presenti sulle pagine di Repubblica anche prima del 1997. Fin dall’inizio, nel 1976, Nino Sofia, Alberto Stabile e poi Attilio Bolzoni, Giuseppe Cerasa, Lucio Luca, Umberto Rosso, Francesco Viviano, Alessandra Ziniti avevano raccontato fatti e misfatti di questa terra. La prima pagina con il titolo “Falcone assassinato” divenne un manifesto esibito nelle piazze. Ma, è un’inevitabile legge del giornalismo, il lavoro del corrispondente si incentra su fatti di rilievo nazionale, spesso legati alla cronaca nera. Quando ero corrispondente da Napoli di Repubblica, nei primi anni Ottanta, scrivevo per lo più di camorra. I miei colleghi palermitani quasi solo di mafia. Era difficile trovare spazio sul palcoscenico nazionale per raccontare storie diverse, a maggior ragione in quegli anni terribili segnati dall’assalto feroce dei Corleonesi allo Stato italiano. In ogni caso, il lavoro di scavo e di denuncia dei corrispondenti e degli inviati di Repubblica faceva spesso la differenza, da lì si cominciò a radicare un legame tra la testata e la città.

Io venni a vivere e a lavorare a Palermo il primo marzo 1999. Guidai la redazione fino al 2004, poi andai a Napoli. Il mio compito era di impiantare un modello di giornale simile a quello nazionale, che conoscevo bene poiché da molti anni ero redattore capo dell’ufficio centrale a Roma. Fino a quel momento le cronache locali di Repubblica erano state un’estensione della cronaca nazionale. Il modello che attuammo, e che sostanzialmente regge ancora oggi, selezionava le notizie approfondendole da più angolazioni e dava stabilmente spazio alle opinioni, alle lettere, a cultura, sport e spettacoli, alle informazioni di servizio. Ai redattori chiesi di lavorare in totale autonomia: non dovevamo competere con la concorrenza sul piano della quantità ma su quello della qualità. Si poteva anche mettere nel conto qualche “buco” non importante, pur di avere una notizia in esclusiva. Non dovevamo essere uguali agli altri, ma riconoscibili per la nostra cifra.

Il tutto in una forma grafica e concettuale che replicasse in piccolo l’idea del giornale come una cattedrale eretta ogni giorno per il lettore, secondo un’immagine cara a Ezio Mauro. E se qualche arabesco alle finestre poteva incantare, i mattoni alla base della costruzione dovevano essere ben solidi: le notizie andavano assemblate con una capacità di lettura della realtà che riflettesse sia la nostra formazione intellettuale e pratica sia la tradizione migliore a cui facevamo riferimento. Molti in redazione provenivano da L’Ora, il quotidiano che a Palermo aveva fatto scuola e che aveva cessato le pubblicazioni pochi giorni prima dell’omicidio Falcone. Erano talmente frequenti i riferimenti ad aneddoti e vicende de L’Ora che qualche buontempone sparse la voce che anch’io mi ero formato lì.

Non fu una gag, però, una delle gratificazioni più significative di quegli anni, dominati politicamente dal centrodestra berlusconian-cuffariano. Era il 2002 e stavamo conducendo in splendida solitudine una campagna di stampa per le dimissioni di un assessore regionale in odore di mafia. Vittorio Nisticò, storico direttore de L’Ora, mi scrisse una lettera, che conservo gelosamente, in cui assimilava la nostra esperienza professionale alla sua.
Le campagne di stampa furono uno strumento importante per stringere un rapporto solido con il lettore. E non dovevano essere concentrate solo su una parte politica, anzi. La prima infatti l’avviammo contro la scelta della giunta Orlando di intitolare una strada a un giurista razzista. Il Comune fu costretto a revocare la decisione.

Un giornale deve denunciare, ma anche valorizzare le cose positive: demmo subito un segnale in questo senso regalando ai lettori le foto dell’Archivio Alinari scattate tra fine Ottocento e inizio Novecento nell’Isola. E chiamammo a raccolta le nostre risorse migliori, come quando organizzammo una serie di confronti a Villa Zito con le firme più prestigiose del giornale, un anticipo di ciò che sarebbe stata qualche anno dopo la Repubblica delle Idee. Cominciammo con il mettere insieme Eugenio Scalfari, Francesco Rosi, Massimo Onofri ed Elvira Sellerio a parlare di Sciascia nel decennale della morte.

Riuscimmo a intercettare spesso i fermenti sociali e così il quotidiano, da strumento di conoscenza, divenne anche un mezzo di comunicazione tra i lettori, come accadde per il cosiddetto “movimento dei professori” che grazie a Repubblica vide scendere in piazza migliaia di persone.

Oggi l’informazione corre veloce anche e soprattutto su Internet e sui social. L’avventura nel web cominciò lo stesso anno che vide la nascita di questa redazione, adesso Repubblica.it è il principale sito di notizie con oltre dieci milioni e 600 mila utenti unici. Internet ha rivoluzionato la vita, non solo dei giornali. Eppure le imprese editoriali hanno ancora un senso, viste le difficoltà che i giganti tecnologici incontrano nel fare giornalismo sulle proprie piattaforme. Lo spazio per la qualità resta inalterato in un mondo in cui la fretta alimenta i falsi e le distorsioni. L’integrazione virtuosa tra carta e digitale è la formula giusta per rispondere alle esigenze dei lettori.

Auguri Palermo, il lavoro continua.