Palermo

Repubblica Palermo, il nostro racconto lungo vent'anni

Che la città di Palermo, più che il resto della Sicilia, sia cambiata in questi venti anni è fuori di dubbio. E che questo sia avvenuto un po’ anche per merito della presenza di Repubblica a Palermo, ce lo diciamo noi con orgoglio e ce lo riconoscono lettori, artisti e intellettuali che in queste settimane ci hanno fatto arrivare i loro auguri e il loro affetto
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Vent'anni sono un tempo brevissimo, il tempo in cui una vita comincia a riempirsi di sogni. Per un giornale venti anni sono un tempo lunghissimo, dilatato dal dovere quotidiano di guardare, decifrare e raccontare quello che accade. È quello che noi di Repubblica Palermo abbiamo fatto in questi ultimi venti anni, da quel giorno del 1997 in cui il primo numero dell’edizione palermitana andò in edicola. Oggi, insieme al giornale, trovate un album con il quale abbiamo provato a ripercorrere questo brevissimo scorcio di storia di Palermo e della Sicilia che ci è toccato raccontare. Sono pagine che restituiscono il senso di un procedere faticoso, contorto, segnato spesso da sconfortanti ritorni al passato, ancora attorniato da troppe zone oscure.
 
Che la città di Palermo, più che il resto della Sicilia, sia cambiata in questi venti anni è fuori di dubbio. E che questo sia avvenuto un po’ anche per merito della presenza di Repubblica a Palermo, ce lo diciamo noi con orgoglio e ce lo riconoscono lettori, artisti e intellettuali che in queste settimane ci hanno fatto arrivare i loro auguri e il loro affetto. Intendiamoci, Repubblica a Palermo e in Sicilia c’era da prima dell’apertura della redazione. C’era con le parole che nessuno diceva e con i fatti che nessuno raccontava, c’era con le inchieste di Attilio Bolzoni e con gli scoop di Franco Viviano, c’era con il rumore fortissimo che faceva ogniqualvolta si occupava di cose siciliane (su tutte valga la indimenticata intervista di Giorgio Bocca al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa da poco insediato sulla tragica poltrona di prefetto di Palermo).

Così, per chi - ancora giovane d’età e di tessera professionale - fu chiamato nel 1997 a far parte della redazione che apriva a Palermo fu un po’ come essere convocato per giocare da titolare nella squadra per la quale aveva sempre tifato, per il team che, di certo, esprimeva il giornalismo più avvincente, più competitivo, più impegnato sul campo. La scommessa che fecero Eugenio Scalfari e Ezio Mauro fu quella di trasmettere il seme del giornalismo di Repubblica a una redazione reclutata e organizzata sul territorio. In Sicilia, poi. Nell’Isola dove la mafia era padrona e il mondo della modernità, quella modernità che Repubblica da decenni già faticosamente indicava al Paese, era percepita più lontana che altrove. In partibus infidelium, avrebbe detto Sciascia.
 
La maggior parte di quei giovani giornalisti che corsero l’avventura aveva avuto il battesimo del fuoco professionale nell’annus horribilis 1992, quello delle stragi nelle quali furono uccisi i giudici Falcone e Borsellino e gli agenti delle scorte, quello in cui la mafia toccò l’apice del suo dominio, non solo e non tanto territoriale, ma di possesso delle coscienze, su Palermo, sui palermitani e sulla Sicilia. Ma quello fu anche l’anno in cui la lotta contro la mafia, fino ad allora appannaggio di sparuti coraggiosi, divenne sentimento della società civile. In questi venti anni il racconto di Palermo e della Sicilia è stato dettato proprio dal lungo, faticoso e contorto procedere verso un futuro più libero, migliore, moderno. Abbiamo raccontato della città che risorgeva, poi affondava sotto i colpi dell’incuria e poi tornava faticosamente a riveder le stelle con il suo teatro simbolo e il suo meraviglioso centro storico restituiti all’orgoglio e al mai prima scoperto senso di appartenenza dei palermitani. Abbiamo raccontato della Regione e della mafia che pascolava nelle sue stanze (governatori indagati e condannati, sanità in mano ai poteri oscuri), abbiamo raccontato dell’antimafia che diventava fallace e sospetta e della mafia che cominciava a capire che probabilmente diventava utile nascondersi sotto il comodo brand dell’antimafia.

Abbiamo raccontato di amministrazioni che suscitavano speranze e poi le tradivano (fummo i primi a scrivere del cerchio magico di Rosario Crocetta al cui interno la faceva da padrone il capo degli industriali siciliani poi finito sotto inchiesta per mafia). Nella giornata di festa di domani al teatro Massimo proveremo a ripercorrere tutto questo. Quello che abbiamo raccontato (con la generazione degli artisti affermatisi dopo le stragi, con il dibattito sulle mafie tra Attilio Bolzoni e il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone). E quello che dovremo ancora raccontare. E’ il nostro modo di festeggiare i venti anni.