Mogadiscio: ombre sulla paternità dell’attentato

Ieri pomeriggio, poco prima delle tre, all’incrocio detto Sobe fra due delle strade più centrali e trafficate di Mogadiscio, quella che va verso Afgoye passando affianco al Ministero degli esteri e quella su cui affacciava l’Hotel Safari, uno dei punti più vivaci della vita quotidiana della capitale somala, ricco di commerci, di traffico automobilistico e dove affacciava una moschea, si è verificato l’attentato più grave degli ultimi anni con oltre 200 vittime – si parla oggi di 220-230 morti – e circa 350 feriti. Il Governo non ha ancora diffuso il numero esatto delle vittime.

Le macerie dell'Hotel Safari dopo l'patentato a Mogadiscio

Le macerie dell'Hotel Safari dopo l'attentato a Mogadiscio

Si è trattato della deflagrazione di un camion militare di fabbricazione italiana adibito a trasporto civile che è risultato stipato di esplosivo. Lo scoppio ha determinato il crollo degli edifici circostanti tra cui l’Hotel Safari, stipato di gente per una riunione politica e la moschea che al momento era affollata approssimandosi l’ora della preghiera pomeridiana. Molte vittime sono state estratte dalle macerie. Un bambino di due anni è stato estratto vivo mentre la madre è stata trovata morta.

In prossimità dell’incrocio in cui si è verificato l’attentato c’era anche il capolinea degli autobus, tra cui gli scuola bus uno dei quali è saltato in aria uccidendo i trenta bambini che trasportava a casa dopo le lezioni.

Gli effetti dello scoppio sono stati aumentati dalla detonazione del carburante di una vicina pompa di benzina che ha preso fuoco.

Il luogo dell’attentato, che era affollato come può esserlo a Roma il mercato di Porta Portese la domenica mattina, è ora un deserto circondato da rovine fumanti e pericolanti.

Il Presidente Mohamed A. Mohamed dona il sangue per i feriti dell'attentato di ieri a Mogadiscio

La gravità dell’attentato ha suscitato un’ondata di indignazione e di solidarietà. Il presidente somalo Mohamed A. Mohamed Farmajo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, si è recato sul luogo dell’esplosione e in ospedale dove, dopo la visita ai feriti, ha donato loro il sangue. A sua volta il Presidente turco Erdogan, fra i primi, ha inviato un aereo militare carico di medicinali. La comunità internazionale ha espresso il proprio sdegno e gli Usa hanno dichiarato che rafforzeranno la lotta agli Al Shabab.

Il camion veniva dal Basso Jubaland, zona di influenza degli Al Shabab. Il proprietario è stato individuato: un commerciante di Mogadiscio che, subito dopo l’esplosione, è fuggito verso le zone meridionali protette, appunto, da Al Shabab.

Durante il suo viaggio verso Mogadiscio, il camion è stato sottoposto al controllo in un check point situato nella zona detta Chilometro sette, tra Afgoye e Mogadiscio. Alla polizia un uomo si è dichiarato garante della sicurezza dell’automezzo. Quest’uomo è stato poi identificato e arrestato. Lavora per la società di telecomunicazioni chiamata Hormud che è di proprietà di Ahmed Nur Jimale, a suo tempo titolare della holding Al Barakat che, dopo gli attentati a New York dell’11 settembre 2001, fu messa al bando dagli Usa per infiltrazioni con gli Al Shabab. Oggi Hormud è la compagnia di telecomunicazioni più importante della Somalia tanto da detenere in proprietà il prefisso internazionale dello Stato somalo 00252.

Proprio all’inizio di questo ottobre, una legge aveva previsto l’esproprio del prefisso ed il suo passaggio allo Stato somalo sicché le società di comunicazioni avrebbero dovuto pagare una tassa per il suo utilizzo in concessione.

Il proprietario del camion esploso, il dipendente di Hormud e lo stesso proprietario di Hormud, appartengono allo medesimo subclan. Su questo elemento la Polizia somala sta investigando in quanto Al Shabab, fino ad ora, non ha rivendicato l’attentato.

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Un commento

  • Mi aspettavo che Repubblica accusasse il bandana