Honduras, Siria e i giovani d’oggi. Affari loro o affari nostri?

È quasi buio quando propongo a mio figlio e ai suoi compagni del quinto ginnasio, che si sono riuniti in casa mia cercando di esorcizzare assieme le difficoltà dello studio, di sospendere le traduzioni del greco e del latino per assistere al telegiornale. Ritengo che la conoscenza del mondo contemporaneo valga quanto quella del mondo antico e loro aderiscono con entusiasmo gettando in aria i fogli degli appunti come sbandieratori del Palio.

Dopo le problematiche economiche e quelle del maltempo, cominciano a scorrere le immagini della folla che, dall'Honduras stremato dalla crisi economica, dalla violenza e dalla corruzione, migra verso gli Stati Uniti attraversando il Messico così come, nel 2015, il popolo siriano attraversò il mare della Turchia e, dalla Grecia, risalì i Balcani fuggendo sia dalla guerra sferrata dal suo capo di Stato che dai tagliagole dell’ISIS.

Migranti siriani lungo la rotta dei Balcani - Repubblica.it

Migranti siriani lungo la rotta dei Balcani - Repubblica.it

È a questo punto della trasmissione televisiva che mi è arrivata, inaspettata, la coltellata al cuore.  Quando, dal gruppetto di adolescenti sui quali riponiamo la nostra fiducia nel futuro e sui quali stiamo investendo le maggiori risorse nel presente, si è levata una voce indistinta per dire: “Io, questi qua, da noi non ce li voglio”.

Ho passato anni di forte impegno su Internet, sulla carta stampata, in radio … dagli schermi televisivi ho duellato con Borghezio, Salvini e la Santaché per affermare esattamente il contrario. Per anni ho ingaggiato battaglie contro ogni discriminazione. Mi sono spesa a favore dell’accoglienza dei migranti. Sono stata ricoverata per uno sciopero della fame per far avere loro una degna ospitalità. Mi sono battuta per la loro integrazione. Ebbene, dopo tutta questa fatica mi ritrovo all'improvviso, e dentro casa mia, la prova del fallimento - mio e di altri impegnati nelle mie stesse battaglie - verso una generazione che si affaccia appena adesso al mondo.

Dove abbiamo sbagliato? Da dove dobbiamo cominciare per correggere l’errore?

La soluzione è importante perché i sentimenti di questi ragazzini sono gli stessi di Salvini e dei suoi sostenitori sicché, se si scopre la chiave di intervento per i primi, la si trova anche per i secondi.

Credo che il punto di partenza si concentri nel prendere atto che la reazione alle migrazioni di questi adolescenti avviene in piena buona fede. A quindici anni sono troppo giovani per aver subito gli influssi di un’ideologia. Reagiscono così perché anche i bambini più piccoli imparano per prima cosa a individuare quello che è “mio” in ciò che a loro piace e a reagire se qualcuno glielo tocca. Quell’io qua non ce li voglio vuole, quindi, esprimere la protezione di ciò che si ritiene proprio: una volta era il giocattolo e oggi è il benessere dell’Occidente che si vede minacciato da questa massa di poveri in cerca di un futuro migliore.

Bisogna aiutare questi giovanissimi a crescere meglio perché quell'egoismo che poteva essere tollerato nell'infanzia, non è più accettabile negli adulti e va rimosso con un univoco impegno culturale.

Ma come aiutare questi adolescenti a superare l’infantilismo?

La religione non tiene più: la parabola del buon samaritano e l’Ero straniero e mi avete accolto (Matteo 25, 43) lasciano oggi il tempo che trovano, non fanno più breccia in questa epoca secolarizzata. Resta la scuola che, per vero, molto si impegna su questi temi ma, proprio perché la scuola è “la scuola”, viene guardata dai giovinetti con insofferenza. I partiti e i movimenti politici sono ancora lontani per i quindicenni ma, in ogni caso, stanno deludendo e, soprattutto, stanno abbandonando le sedi locali con le tradizionali riunioni e discussioni periodiche. Internet la fa da padrona ma lascia in solitudine questi minorenni che mancano del confronto con altri adulti che non siano i genitori e gli insegnanti. Così restano preda degli istinti infantili.

E in famiglia? In troppe famiglie la televisione cattura tutti i minuti che si trascorrono al suo interno. Le immagini del calcio che appassionano per le chiacchiere del giorno dopo; le serie televisive dai ripetuti colpi di scena; i talk show che dibattono dell’attualità di cui si discuterà nel consiglio di amministrazione o nella pausa caffè, catturano l’attenzione allontanandoci dalle fatiche di scoprire cosa passa per il cervello dei nostri adolescenti. Arriviamo a casa troppo stanchi a causa dei nostri ritmi di vita e di lavoro per confrontarci con loro, per di più rinunciando alla televisione accesa.

Farli crescere significa fare rinunce. Rinunciare al proprio tempo e alle proprie passioni per dedicargli il tempo infinito che serve a far loro capire, con dolcezza ma anche con determinazione: che se il tuo vicino sta male, stai male anche tu; che, per essere sicuri, non si devono alzare muri (che stimolano l’aggressività dell’abbattimento), ma ponti (che servono alla fratellanza della congiunzione); che, se crei gli irregolari, avrai l’irregolarità sociale dei senza futuro, preda della malavita e della schiavitù; che, se non distribuisci la ricchezza, raccoglierai i frutti violenti della disuguaglianza; che se non pratichi la tolleranza, ti chiudi in te stesso e perdi formidabili occasioni di conoscere altri modi di vivere, di pensare, di relazionarsi con gli altri.

Migranti salvati lungo la rotta del Mediterraneo - Repubblica.it

Migranti salvati lungo la rotta del Mediterraneo - Repubblica.it

Per dare i migliori risultati, per far risorgere un clima da Sessantotto proiettato verso gli altri e il bene comune, quest’attività pedagogica dovrebbe essere impartita agli adolescenti da persone diverse dai genitori, ma dove, come, quando impartirla? Forse si potrebbero creare spazi di dialogo nella scuola, magari nel dopo scuola, e far prendere la parola ad alcuni genitori con un’esperienza utile a far crescere, con la parola di adulti “terzi”, questi giovinetti. Forse! Ogni idea per cominciare è la benvenuta in questa direzione.

Intanto il telegiornale è arrivato allo sport. A seconda delle preferenze, la platea dei minorenni si entusiasma o si deprime. E l’Honduras? E la Siria? Per questi ragazzini, intanto, vedo già chiara la risposta: “Fatti loro!” E per quegli altri che sicuramente verranno dopo di loro? Non ho motivi per essere ottimista. Ad oggi la risposta resta: “Affari loro”. Ma temo che di questo passo, prima o poi, diventerà: “Affari nostri”.

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2 commenti

  • È un problema vecchio: da sempre gli immigrati stabilizzati tendono a votare a destra ed a respingere le nuove immigrazioni.

  • Se non si deve lasciare in malora chi chiede aiuto, tuttavia non si può nemmeno pretendere che ci si tagli le biglie per condividere le loro sofferenze o farcene carico, soprattutto non va richiesto ad un popolo che ha pagato tasse e trattenute varie per farsi carico di contributi figurativi e assistenzialismi di scambio delle varie basi elettorali delle prime due repubbliche.
    In ogni caso il profugo o immigrato che sia andrebbe accolto in un modo ordinato e regolamentato (ad es. firma subito un impegno a rispettare le leggi di chi ti accoglie e ti metti a disposizione, violando quell'impegno perdi l'accoglienza), una specie di legione straniera non militare che può produrre ricchezza o servizi per la nazione ospitante e permetterà all'immigrato di dimostrare la sua buona fede e guadagnarsi i beni primari.
    Se veramente uno vuole sfuggire a tirannie, fame, violenze, ecc. non dovrebbe aver remore ad accettare; se uno vuol fare il furbo si autoespellerebbe senza lasciare alcun rimorso.
    Ora come ora il messaggio neanche tanto subliminale é: le regole son queste, però lavoro regolare non ce n'è, posti letto neanche, il tuo diritto all'accoglienza lo stabiliremo in un paio d'anni, perciò arrangiati, accomodati pure nella zona grigia, lì chiedi del sig. Buzzi.