Piccola premessa: le fake news esistono e sono sempre esistite. La storia insegna che gli “avvelenatori di pozzo” sono un tratto particolare della nostra vita sociale e politica, dal momento che nel corso del tempo più volte ci si è imbattuti in forme quanto meno calunniatrici di fake news. Fare leva sulla facile persuasività della massa e sullo strapotere che le parole hanno su di essa è una pratica secolare. I pagani romani, infatti, definivano cannibali i neocristiani; gli stessi cristiani hanno retto le loro persecuzioni contro le streghe e gli eretici su false congetture. Per non parlare del Protocollo dei Savi anziani di Sion (testo che giustificava l’antisemitismo nazista) e le ultimissime invasoni americane in Iraq, per un “presentimento” secondo il quale Saddam Hussein si stesse armando atomicamente.
La questione, tuttavia, verte un un altro piano. Posto che esistono, e il web ne è un terreno fertilissimo, queste fake news come le si disinnescano? Ammesso sia possibile farlo.
Abbiamo detto che i social sono diventati un grande “mercato” per le false notizie: questo per il facile guadagno di gestori di siti web che si arricchiscono su facili click di gente, attirata da un titolo accattivante od assurdo. Eppure, la questione americana, nonché le ultime dichiarazioni di Matteo Renzi, conferiscono una dimensione più inquietante al fenomeno fake news. Infatti, esse stanno esponenzialmente incidendo sempre più nelle campagne elettorali, andando a raggiungere “dal basso” chi nel basso si trova. Si tratta di un sostrato sociale, parecchio numeroso, che non sa riconoscere una bufala, cadendo nel tranello di questi “avvelenatori di pozzi”, appunto.
In un campione rappresentativo di italiani (analizzato dall’Istituto Eumetra Monterosa di Milano, intervistando persone con più di 17 anni di età) la maggioranza ha affermato di non essersi più di tanto imbattuta in «fake news». È vero che, tuttavia, quasi metà tra loro (il 44%) sostiene di averle notate «spesso» (13%) o almeno «qualche volta» (31%). Ma il resto del campione sondato non le ha riscontrate «mai» (29%) o «quasi mai» (18%) o ammette che «è difficile capire quando una notizia è falsa» (9%).
Viene denunciata maggiormente la presenza di «bufale» da parte degli intervistati aventi un titolo di studio superiore e che, al tempo stesso, abitano nei centri di minore dimensione. Nelle aree metropolitane (maggiormente affollate), viceversa specialmente tra chi esercita professioni poco remunerative, come operai e commessi e tra le persone con età tra i 25 e 34 anni il fenomeno delle fake news è percepito in misura minore, in particolare nel Sud del Paese. Interessante è anche capire l’orientamento politico di questa categoria. Il 51% dell’elettorato per il Movimento 5 Stelle ha dichiarato di non saper riconoscere le notizie false. Coincidenze?
La percezione della fake news è inversamente proporzionale alla sua pericolosità. Se sappiamo riconoscere una di esse, significa ignorarla: forti di un pensiero critico in grado di filtrare la veridicità della notizia, la svuotiamo di senso. Tuttavia crederci, porta ad alimentare odio, calunnie e malcontento tra le fila di chi il malcontento lo ha già, per ragioni economiche ad esempio.
L’unica difesa contro questo male è non dar mi per nulla per scontato e indagare sempre e comunque la veridicità di un’informazione. Che essa venga da un telegiornale, da sito o da “Le Iene”.