L’omosessualità non è più un reato in India. La Corte Suprema ha infatti cancellato l’articolo 377 del Codice Penale Indiano, che puniva chiunque abbia “rapporti carnali volontari contro l’ordine della natura” (carnal intercourse against the order of nature), con la reclusione fino all’ergastolo. Tale disposizione, imposta dai colonizzatori britannici, era in vigore sin dal 1860. Alla decisione è pervenuto un collegio composto di cinque giudici e presieduto da Dipak Misra, il quale ha dichiarato che “criminalizzare l’omosessualità è irrazionale e indifendibile”. Il cammino che ha condotto a questa storica sentenza, è stato alquanto travagliato. Infatti già nel 2009 l’Alta Corte di Delhi aveva già emesso una sentenza in tal senso, che la stessa Corte Suprema aveva annullato nel 2013.
In realtà la cultura e la religione indiane, per loro stessa natura, non sono intolleranti riguardo alla omosessualità o alla transessualità, cosicché gli atteggiamenti in tal senso, che si manifestano nella moderna cultura indiana, sono stati introdotti dapprima dai colonizzatori islamici e, successivamente, soprattutto dai britannici.
Gli antichi testi religiosi (i veda) e la letteratura mitologica indiana, sin dall’antichità trattano liberamente ed ampiamente i temi della trans/omo/bisessualità. Inoltre, gli Hijra (transessuali uomo-donna), sono riconosciuti legalmente come terzo genere e ben integrati nella comunità.
La notizia di questa storica sentenza, oltre che essere comprensibilmente accolta con entusiasmo dagli attivisti per i diritti umani e dai militanti LGBT, è stata commentata molto positivamente dall’Unione Europea.